27 ottobre 2019

Diritti e Fine vita: la necessità di arrivare fino in fondo | L'editoriale della domenica


Il 25 settembre 2019 c’è stato il tanto atteso pronunciamento della corte costituzionale sul caso di Marco Cappato, politico e esponente dell’associazione Luca Coscioni che aveva accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani, meglio conosciuto come Dj Fabo, per usufruire del suicidio assistito.
A scanso di equivoci è bene precisare che la sentenza riguarda appunto il suicidio assistito e non l’eutanasia. Nel primo caso infatti è la persona interessata ad assumere autonomamente il farmaco letale. Nell’eutanasia invece entra in gioco il medico che somministra il farmaco (eutanasia attiva) o interviene interrompendo le terapie o spegnendo i macchinari che tengono in vita la persona (eutanasia passiva).
Entrando nel merito la sentenza stabilisce che non è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.”
La svolta sta nel fatto che, in determinate condizioni, l’assistenza al suicidio non è punibile e non è nemmeno equiparabile all’istigazione al suicidio. Al contrario di quanto riportato nel sopracitato articolo 580 che invece equipara le due situazioni.
In parole povere non sarà considerato reato in Italia aiutare a morire una persona capace di decidere consapevolmente, nella misura in cui quella persona abbia una malattia irreversibile che causi sofferenze fisiche e psicologiche o sia tenuta in vita da trattamenti medici di sostegno.
Tutto ciò ha innescato, com’era prevedibile, reazioni opposte sia da parte del mondo cattolico sia di quello politico. Verrebbe da dire il solito derby tra Stato etico e Stato Laico. Da una parte le fazioni politiche più conservatrici che, insieme alla CEI, esprimono sconcerto e prendono le distanze da questo comunicato. Dall’altra chi apprende con soddisfazione questa presa di posizione come la compagna di dj Fabo Valeria Imbrogno insieme ad alcuni esponenti del Partito democratico e del Movimento 5 stelle.
Non è normale e non è giusto che ancora oggi l’Italia sul questi temi sia un paese tanto diviso. La corte costituzionale ancora una volta purtroppo è arrivata prima della politica, la quale su tematiche delicate come queste non si è presa la responsabilità di decidere e di legiferare. Non si tratta di destra contro sinistra, di cattolici contro atei bensì si tratta solo di avere buonsenso. Uno stato Laico come il nostro deve farsi garante della possibilità di scelta di ognuno. Non è pensabile che si possa imporre la visione di una religione a tutti indistintamente, agendo di conseguenza. Ognuno deve poter aver il diritto di scegliere se continuare a vivere o decidere di farla finita se sussistono determinate condizioni. Sono due scelte con la stessa dignità che sono dettate dalla formazione, dal credo e dal carattere di ogni singola persona.
Stabilire che bisogna sempre tenere in vita i pazienti in gravi situazioni, spesso irreversibili, è una visione da stato Etico e non da stato Laico.
Il tema della laicità dello Stato non si ferma solo alla questione del suicidio assistito o dell’eutanasia ma tocca anche altre questioni come la legalizzazione della prostituzione o della cannabis.
Nella legislatura scorsa, è bene dirlo, sul tema dei diritti sono stati fatti passi in avanti con l’approvazione della legge sulle unioni civili e sul testamento biologico la quale stabilisce che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata.
È sufficiente tutto ciò? La risposta ovviamente è no. A tal proposito la Corte, nella sentenza sul caso Cappato, parla di un “indispensabile intervento del legislatore”, anche perché riguarda un singolo caso e fino ad una approvazione di una legge saranno i giudici a dover decidere singolarmente volta per volta.



20 ottobre 2019

Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare, disse quel tale! | L'editoriale della domenica

<< Uno che passa la vita con la testa girata dall’altra parte >>. E ancora << noi, siamo così esagerati da voler salvare il mondo, convinti che ogni vita sia già tutto il mondo. D’accordo con l’indignazione, ma poi, nella vita, non bisogna girar la testa, bisogna prendersi le proprie responsabilità >>.
Questo e tante altre cose abbiamo ascoltato da don Gino Rigoldi che festeggia i vent’anni dell’associazione BiR, acronimo che sta per Bimbi in Romania. Ma quello che più colpisce è una frase: << non siamo onnipotenti, attenzione, ma siamo generosi, curiosi, contenti, imprudenti, e ci tocca la passione di fare tanto e di più >>.
Imprudenti: è straordinario!
Parlavo di coraggio domenica scorsa. È questo il coraggio a cui pensavo. Quello che mai si sposa col calcolo e l’interesse personale e che promuove i diritti fondamentali della convivenza civile. Quello che dialoga con mondi lontani e entra in contatto con le culture dei nuovi cittadini, da qualunque parte del mondo essi provengano. Insomma quel coraggio che spinge gli uomini a incrociarsi e dialogare di più e perché no, contaminarsi senza rinchiudersi nel proprio Io quieto, ignorando per paura o per indifferenza gli altri, limitandosi, quando va bene, a pure e semplici convivenze o incontri occasionali.
Di recente si è svolto a Nerviano un convegno sul tema della povertà organizzato dalla San Vincenzo e dall’ANPI. Belle parole e bella gente hanno reso piacevole oltre che interessante la serata e dispiace per chi doveva esserci e non c’era. Per qualche ora hanno smesso di risuonare gli strali di quelli che sono soliti inalberare il vessillo della loro identità, impugnando la spada ideale (ma talora anche reale) del rigetto della diversità. I custodi dei propri interessi che disprezzano ogni fede, cultura o prassi differente dalla loro, come ben dice quel tale. Antonio Vegetti per l’ANPI ha svolto una interessante e accurata storia della povertà, individuandone le regioni storiche, sociali e politiche. Marina Piazzi ha parlato delle iniziative della San Vincenzo a Nerviano, dell’impegno nell’assistenza e soprattutto nell’ascolto di quanti per le istituzioni sembrano non avere voce. Alberto Morlacchi, ci ha raccontato della Città dimenticata, come ha intitolato la mappa dei servizi la Caritas Ambrosiana, e tra le cose interessanti che ha detto ci piace riprendere un concetto: << l’accoglienza non deve essere ideologia, bisogna saper governare certi percorsi >>. L’Associazione San Vincenzo e ANPI, insieme per affermare un impegno che non è solo dei credenti ma di tutti coloro che riconoscono la comune fraternità umana e lo testimoniano con il loro impegno quotidiano.
Natalia Ginzburg, in un suo libro, Le piccole virtù, ricorda come ogni incontro sia un atto umano e, come tale, rechi con sé una qualità morale, da praticare costantemente: << I rapporti umani si devono riscoprire e reinventare ogni giorno. Ci dobbiamo sempre ricordare che ogni specie di incontro col prossimo è un’azione umana e dunque è sempre male o bene, verità o menzogna, carità o peccato>>. 

P. s.
Don Mazzi (90 anni), don Rigoldi (80 anni), don Colmegna (74 anni), <<Tre pretacci per due secoli
di rivoluzione>>, così titola il Corriere della Sera di martedì 1 ottobre un bell’ articolo che li ricorda e ne racconta l’impegno: la droga, il carcere minorile, gli stranieri, il disagio. Loro il coraggio ce l’hanno! 
Il tale del titolo è Alessandro Manzoni. 
Quell’altro tale che ci parla dei “custodi dei propri interessi” è Mons. Gianfranco Ravasi.



13 ottobre 2019

Una nuova politica di riuso degli spazi della città | L'editoriale della domenica

Leggo dal Corriere brutte notizie per i pedoni, quei coraggiosi cioè che vanno a piedi da un punto all’altro camminando su marciapiedi quando ci sono o sul ciglio della strada quando non ci sono. Spesso schiacciandosi lungo i muri e sperando di essere visti da automobilisti distratti da mille incombenze e pensieri per poter anche guardare la strada davanti a loro. Dunque vengo a sapere che tra i morti per strada uno su tre è un pedone e tra i feriti uno ogni sette. E non bastano le strisce pedonali a difendere: hanno smesso da tempo di essere un presidio di civiltà: rimangono una nota di colore. I controlli sono pressoché assenti durante il giorno e inesistenti nelle ore serali. Va peggio il sabato e la domenica.
Siamo convinti che (anche a Nerviano) la mobilità possa essere garantita prescindendo dall’uso dell’automobile. Andare a piedi camminando sicuri, su marciapiedi finalmente legalizzati con misure corrette e privi di ogni impedimento per anziani e disabili e disegnando infine una vera rete di piste ciclabili non solo per il tempo libero ma che colleghi utilmente i diversi punti del paese.
Nessuno ha mai deciso che le strade dovessero appartenere alle auto e non ai cittadini. La rinascita delle città, e anche di Nerviano, passa per lo sgombero delle strade dalle auto. Sgombero! Espressione che non ammette equivoci. Le strade cittadine non possono più essere soffocate dal traffico delle automobili. La m
obilità a Nerviano e nelle frazioni e tra Nerviano e le frazioni dovrà essere garantita prescindendo dall’uso dell’automobile, ”legalizzando” i marciapiedi e, laddove non ci sono, i percorsi pedonali (la striscia bianca non deve come adesso misurare uno spazio di 50 cm come nella via che attraversa s. Ilario). I parcheggi ci sono a garantire tutto questo.
Il sig. Sindaco M. Cozzi parlando di sé stesso dice spesso di avere le spalle larghe. Non siamo sicuri di sapere che cosa voglia dire. E confessiamo che ci interessa poco. E ha smesso di mandare “bacioni”, come del resto quell’altro. E confessiamo che non ne sentiamo la mancanza. Vorremmo sapere però se ha coraggio. Il coraggio di prendere delle decisioni che sappiano ignorare interessi degli uni e degli altri per puntare agli interessi di tutti. Ma non ci aspettiamo granché. “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” diceva quel tale. In questo il sig. Sindaco M. Cozzi continua la tradizione del suo omonimo ed ex sig. E. Cozzi.
La giustificazione sempre pronta da usare e abusare è che ci sono ragioni e vincoli che rendono difficile realizzare quello che “è scappato di dire“ in campagna elettorale. Certo ci sono le regole da rispettare, ma è il coraggio che manca. Da non confondere con l’insofferenza verso le regole “formali”, i tribunali, le “pastoie” legali, che vengono superati con atti (anche normativi) spesso patetici. Questa è ostilità verso lo Stato di diritto. “ Non saranno le leggi e le leggine a fermarci “, diceva quell’altro. Infatti si è fermato da solo.

P.s.
Dopo una lunga pausa riprendono gli editoriali. Questa volta chi scrive usa la prima persona singolare e promette di essere più attento alle questioni locali. Perché vi domanderete ? Ma perché le prossime elezioni si avvicinano e ci troveranno pronti e preparati alla battaglia: democratica per carità! Ci siamo affezionati alla Democrazia, noi!


30 giugno 2019

Democratica | Il sito di informazione del Partito Democratico 

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20 giugno 2019

Comunicato stampa


In riferimento agli articoli apparsi sul periodico NERVIANO DEMOCRATICA, dal titolo “NERVIANO 25 APRILE, COMUNICATO STAMPA” e il  IL VISCONTE DIMEZZATO CI PERDONI CALVINO L’ARDIRE,  nonché ai commenti che ne sono conseguiti su facebook, teniamo a precisare che il rincrescimento espresso per i fatti ivi descritti non era in alcun modo diretto a muovere intenti denigratori nei confronti del funzionario pubblico intervenuto che nel frangente stava adempiendo ai suoi doveri, ma a coloro, ovviamente diversi da lui, che ne avevano sollecitato l’intervento. Il riferimento alla figura letteraria del Visconte dimezzato, lungi dall’avere alcun intendimento denigratorio od ingiurioso intendeva descrivere il disagio, che ci sembra di aver avvertito, di colui che si è trovato nel mezzo di una disputa in cui ciascuno asseriva di essere nel giusto e l’altro nel torto. Ci spiace, quindi, se qualcuno possa essersi sentito offeso dal contenuto degli articoli e di ciò ci scusiamo, certi che per il futuro una maggior accortezza eviterà il ripetersi di episodi che possano compromettere un sereno rapporto tra le istituzioni”.

02 giugno 2019

L'eredità? | L'editoriale della domenica


Nel 2009 Beppe Severgnini si era inventata una teoria che diffuse attraverso le pagine del Corriere della Sera. “Quanti quotidiani si vendono ogni giorno in Italia? Più o meno cinque milioni. Quanti italiani entrano regolarmente in una libreria? Più o meno cinque milioni. Quanti sono gli abbonati a Sky? Più o meno cinque milioni. Quanti sono i visitatori dei siti di informazione? Più o meno cinque milioni. Quanti guardano i programmi di approfondimento in televisione? Più o meno cinque milioni. Il sospetto è che siano sempre gli stessi. Cinque milioni. Chiamiamolo Five Milion Club, visto che molti iscritti dicono di sapere l’inglese”.
Ecco. Questo leggevamo in un articolo del Corriere del 2009. Cos’è cambiato in questi dieci anni? Lasciamo volentieri ai nostri undici lettori la risposta. Quanto a noi possiamo aggiungere con una punta di malizia che gli elettori italiani sono molti di più: 46 milioni. Togliamo i 5 milioni di cui sopra e ne restano 41. Chi sono ci domandiamo incuriositi? Le analisi dei risultati elettorali di questi giorni ce ne hanno raccontato il profilo, aiutandoci a farcene un’idea. Ebbene noi almeno tre di questi elettori li conosciamo. Riandiamo con la memoria a una scena della trasmissione televisiva L’Eredità di qualche anno fa. Conduceva Carlo Conti. I concorrenti erano belli e preparati. La domanda semplice: in che anno divenne cancelliere Adolf Hitler? Le possibilità erano quattro: 1933, 1948, 1964, 1974. La prima concorrente rispose: 1948. Il secondo: 1964. La terza era sicura: 1974. La quarta aveva la risposta obbligata ma quasi si scusò per l’assurdità: 1933. Come il sintomo di una sindrome. Sindrome 1933 è il libro di Siegmund Ginzberg appena uscito da Feltrinelli, dove l’autore traccia una analogia tra la situazione odierna e quella degli anni Trenta. Ginzberg ci esorta a riflettere senza gridare “al lupo”. Non siamo nel 1933, siamo solo in un tempo che imita inconsapevolmente il passato. 46 milioni dunque, meno i tre che conosciamo, chi sono gli altri? Ancora una volta ci viene in aiuto quel tale per spiegarci che la narcosi del benessere economico ha ipnotizzato così bene il popolo da convincerla che il suo è il migliore dei mondi possibili e farle considerare assurda una qualsiasi reazione. Nella sua ipnosi il popolo non scorge l’abbassamento, l’involgarimento e la spersonalizzazione del nuovo livello medio. Al contrario, si sente tanto sicuro e potente perché certificato dal possesso di quelle cose che sembrano contare: in realtà è solo indebitato fino al collo per pagare le varie (e comode) rate con cui si è procurato le cose che sembrano contare.  La civiltà del debito la chiama quel tale. E ci fermiamo sulla soglia di un’analisi sociologica che non intendiamo fare. Per carità: la società dei consumi, la Scuola di Francoforte, Marcuse e Pasolini: roba vecchia, da intellettuali radical-chic, come usa dire oggi. Roba da “rosiconi” di sinistra, nell’era della decrescita felice. Perciò ci affidiamo alla nuova stella nel firmamento politico, ha il volto rotondo, la felpa sempre a tono, gli slogan secchi, le dirette facebook. Uno di noi, insomma, il populista perfetto, il profeta itinerante del nuovo corso identitario.

p.s.
Beppe Severgnini scrive ancora sul Corriere della Sera. La “civiltà del debito” è una espressione di Z. Bauman. S. Ginzberg, è giornalista e scrittore, nato a Istanbul e arrivato in Italia da bambino coi genitori negli anni cinquanta.
Speriamo si sia notato l’uso per ben due volte della parole “popolo”.


01 giugno 2019

Elezioni Europee 2019


La Lega è decisamente il partito più forte. Non solo a livello nazionale dove ha superato il 34,3% ma la vittoria della Lega è forte anche a livello locale e a Nerviano arriva al 42%.
Una Lega che ha definitivamente abbandonato il progetto secessionista per diventare nazionalista e di destra e per volere del suo Segretario Matteo Salvini è sempre più simile ai partiti di leader europei come Le Pen e Orban noti per la loro politica xenofoba.
Crolla il M5S dopo appena un anno di governo a dimostrazione che con le promesse mirabolanti e le evidenti lacune in termini di competenza risulta davvero difficile governare.
I successi politici non sono duraturi, la mobilità dell’elettorato è sempre più diffusa e lo confermano gli ultimi risultati rispetto il voto delle politiche e le Europee del 2014 con il PD di Matteo Renzi al 40%.
Un elettorato fluido al quale bisogna rendere conto molto velocemente, soprattutto al Sud dove la priorità di chi ha votato Salvini non è la Tav e l’autonomia differenziata ma il lavoro e la crescita economica.
Dal risultato delle Europee la lega dovrà necessariamente uscire fuori dalla propaganda politica e da una eterna campagna elettorale; ed anche stavolta i nodi verranno al pettine.
Le parabole passano in fretta e la politica avrà sempre più bisogno di politici credibili.
Al PD l’arduo compito di farsi trovare pronto. Il risultato del 22,7% è senz’altro positivo e rappresenta un buon segnale di ripresa per mettere in campo un programma di rilancio del partito e del paese, puntando su ricette differenti da quelle proposte da sovranisti e populisti.
La domanda di uguaglianza, di giustizia sociale e di solidarietà umana è forte nel paese e spetta al PD dare delle risposte.
A NERVIANO il PD con il 24,27% ottiene un risultato significativo.
Un dato superiore al risultato nazionale del partito e al risultato ottenuto con le politiche del 2018. Il Circolo del PD di Nerviano dimostra di essere presente sul territorio, disponibile al dialogo ed al confronto democratico con tutte le forze politiche che non si riconoscono nella linea politica della Lega.

(Fonte immagine dati: www.comune.nerviano.mi.it)

19 maggio 2019

Elezioni Europee 2019

Stranieri alle porte | L'editoriale della domenica


È dall’inizio della modernità che profughi in fuga dalla bestialità delle guerre e dei dispotismi o dalla ferocia di una vita la cui unica prospettiva è la fame bussano alla porta di altri popoli: e per chi vive dietro quella porta i profughi sono sempre stati stranieri, spaventosi nella loro imprevedibilità che potrebbero distruggere ciò cui teniamo, sconvolgendo lo stile di vita che ci è confortevolmente familiare. Il primo impulso, un misto di risentimento e aggressività, segue, in versione aggiornata lo schema tracciato nell’antica fiaba di Esopo che ha per protagoniste lepri e ranocchie. In questa fiaba le lepri si sentivano a tal punto perseguitate dagli altri animali che non sapevano più cosa fare, e scappavano appena si avvicinava un altro animale. Un giorno videro una mandria di cavalli selvatici al galoppo e, prese dal panico, se la diedero a gambe fino al lago, decise a farla finita: meglio gettarsi in acqua e annegare che vivere nella paura senza fine. Ma appena le lepri si avvicinarono alla riva, un gruppo di ranocchie, allarmate dal loro arrivo, scapparono e saltarono in acqua. Al che una delle lepri commentò: <<In fondo le cose non vanno poi così male>>. Insomma, non si deve per forza scegliere la morte per sfuggire a una vita di paura. La morale della fiaba è semplicissima: la soddisfazione di questa lepre – il gradito sollievo dalla mortificazione delle persecuzioni quotidiane – nasce dalla rivelazione che c’è qualcuno che se la passa peggio di lei.
La nostra società di animali umani è piena di lepri <<perseguitate dagli altri animali>> che si trovano in una situazione simile a quella delle lepri di Esopo. Queste lepri vivono nella miseria, nell’umiliazione e nell’ignominia, in una società che, pur potendo vantare agi e opulenza senza precedenti, è fermamente decisa a emarginarle. In un mondo in cui si presume, si pretende e si esorta a pensare <<ognuno per sé>>, questi uomini-lepre (cui altri uomini negano rispetto, attenzione e riconoscimento), al pari delle lepri di Esopo rimangono <<ultimi>> e vengono lasciati lì, senza alcuna speranza. Per gli esclusi che sospettano di essere relegati tra gli ultimi, scoprire che sotto di loro c’è qualcun altro è una sorta di evento salvifico, che restituisce loro dignità umana e salva quel poco che rimane della loro autostima. L’arrivo di una massa di migranti senza dimora, cui si negano i diritti fondamentali, crea una (rara) occasione per il verificarsi di un simile evento. Tutto ciò sicuramente aiuta a spiegare come mai la recente immigrazione di massa coincida con le nuove fortune della xenofobia, del razzismo e del nazionalismo nella sua variante sciovinista, e con i successi elettorali, sorprendenti e senza precedenti, di partiti e movimenti xenofobi, razzisti e sciovinisti guidati da leader che agitano fanaticamente la bandiera dell’interesse nazionale.
Zygmunt Bauman scrive sull’onda degli eventi che si susseguono nell’estate del 2015, quando l’ostilità stringe in una morsa l’Europa. Lunghe file di profughi, bambini, donne e uomini di ogni età, che portano sul volto i segni del terrore, sul corpo le ferite della guerra o le tracce della tortura, che sono smarriti, affamati, intirizziti, stremati, cercano rifugio nella patria dei diritti umani. E l’Europa apre le proprie frontiere. Ma presto la compassione viene meno. Dimentica della sua storia, l’Europa volta le spalle e chiude gli occhi. Dal buio del Novecento riemerge il filo spinato. Gli accessi vengono interdetti, i porti e gli aeroporti messi sotto sorveglianza. È la fine dell’ospitalità. Senza nascondere sdegno e irritazione, Bauman denuncia <<gli abomini morali>>, divenuti rapidamente ovvietà. Punta l’indice contro i politici che mostrano i bicipiti, quei populisti che, con promesse allettanti e truffaldine, trascinano i cittadini frustrati verso pericolose scorciatoie. Il tema è quello della globalizzazione, già più volte affrontato da Bauman. Dinanzi a uno scenario complesso, in cui non è agevole districarsi, si preferiscono le semplificazioni grottesche. Così i nuovi prestigiatori dell’antipolitica imbastiscono fantasiosi programmi elettorali con cui spingono gli ingenui a credere che sia possibile negare la globalizzazione e i suoi effetti. Come se, con un po’ di magia, si riuscisse a fermare la storia.

p.s.
Rieccoci dopo una pausa tecnica.
In vista delle Elezioni europee abbiamo riletto “Stranieri alle porte” di Z. Bauman. 
Ve ne offriamo un assaggio.



28 aprile 2019

Il fascismo di ritorno | L'editoriale della domenica


Dicono che il potere logori. Ma c’è da credere che il potere logori soltanto coloro che non ce l’hanno, come diceva quel tale. Alla Lega il potere fa evidentemente bene. Del resto, pare che faccia bene a tutti. Basti considerare la longevità dei dittatori. A più di settant’anni dalla caduta del fascismo vediamo riemergere i neo-fascisti come una forza politica che conta. Una realtà che di per sé dovrebbe costringere tutti i democratici a un esame di coscienza di severità estrema – è un fatto di rilievo politico eccezionale. Bisogna guardare in faccia la situazione per quella che è. La si lasci impaludare anche per poco, e dalla crisi del governo si passerà d’un salto alla crisi di regime. Ecco allora riaffiorare vecchi e nuovi disegni di restaurazione che hanno trovato varia fortuna in passato e qualche volta pittoresca espressione più di recente. Il pugno duro coi migranti, la nuova legge sulla legittima difesa e le richieste di reintrodurre la pena di morte sono solo alcuni esempi. Una certezza sembra tuttavia acquisita: la destra ha trovato nella Lega un punto di convergenza, enfatizzando la retorica della violenza alleata al perbenismo di una maggioranza urlante e non più silenziosa e unita a quel tanto di ambiguità che costituisce l’essenza stessa del fascismo e sul quale questo ha da sempre fondato le sue fortune.
Non solo i fascisti dunque, ma tutti i partiti che si muovono e si agitano nella destra italiana, fanno perno su alcuni punti la cui portata, se svolti con coerenza e spregiudicatezza, è notevole e può ottenere un riverbero non indifferente in molti strati della popolazione italiana. Primo fra tutti la difesa a oltranza della famiglia, rispolverando vecchi slogan che ci era capitato di sentire l’ultima volta nel 1974 durante la campagna referendaria per l’abrogazione della Legge sul divorzio. Pensavamo e speravamo proprio di non sentirli più. Senza fare alcuno sforzo di memoria viene in mente il famoso trinomio fascista “Dio, Patria, Famiglia”, tendente ad assicurarsi il favore dell’alta gerarchia ecclesiastica e di quei cattolici cosiddetti tradizionalisti. Segue la difesa dell’ordine, nonostante la ostentata frequentazione di quel tale di capi di formazioni paramilitari e di picchiatori di professione. Questa, unita a una sempre più auspicata e conclamata ricostruzione dell’autorità dello Stato che tende a convogliare la simpatia dei funzionari statali, della polizia e in generale delle forze dell’ordine, pompieri compresi.
Noi democratici ci consoliamo facendo le marce dell’antifascismo, che ci fanno venire in mente le processioni medievali contro il colera. 
<< Un uomo che è stato rilasciato da un campo di concentramento domanda alla signora Jordan, donna sensibile e intelligente: “ Ma voi, dove avete vissuto? ” >>.

p. s.
La frase alla fine del testo è tratta da “Terreno minato” di Heinrich Boll.



14 aprile 2019

Allosanfan! | L'editoriale della domenica


Agli storici della domenica dedichiamo oggi la nostra curiosità. Apprezziamo il loro proposito di provare a tentare una ricostruzione della storia d’Italia giornalistica nello stile e nella ricerca forsennata di scoop e reinvenzione fantastica di un passato reale. Cosa possiamo dire noi che non ci spacciamo per storici. Abbiamo letto un po’ Croce e abbiamo in casa l’intera Storia d’Italia dell’Einaudi, ma questo non ci accredita a dire alcunché. Però vogliamo provarci e ci azzardiamo a ricordare il celebre giudizio gramsciano sul mezzogiorno “grande disgregazione sociale”. E forse possiamo estendere oggi tale giudizio all’intera nazione, al carattere scarsamente omogeneo della società e al carattere scarsamente integrato delle sue singole parti. Accanto alla divisione più macroscopica, quella fra Nord e Sud, ce ne sono altre: c’è una Italia democratica e popolare e ce n’è una sovranista e popolana, c’è una Italia cattolica e ce n’è una bigotta, c’è una Italia capitalista e ce n’è una arraffona. E non c’è una classe egemone. Una società priva di classe egemone o con una classe egemone debole è caratterizzata dalla disgregazione. All’origine di questa disgregazione, sta il fatto che in Italia è sempre mancato un vero e proprio partito conservatore, è mancato, cioè, il partito di coloro che avrebbero dovuto essere i naturali depositari dell’egemonia. E l’assenza di un saldo partito conservatore ha portato, come conseguenza, l’assenza di una salda sinistra e l’incapacità, comune ai conservatori e ai gruppi della sinistra, di esprimere governi solidi e autorevoli. È successo negli altri paesi, in Francia, in Inghilterra e in Germania. Non in Italia.
Ma come, direte voi: e Forza Italia di Berlusconi? E la Lega di Salvini? Non scherziamo. “Siamo seri” come ricordava quel tale domenica scorsa. Oddio, non è che nel PD siamo messi meglio, dopo la stagione “onirica” di Renzi. Tant’è!
Del separatismo di cui avevamo promesso di parlare non v’è fin qui traccia. Proviamo a dire qualcosa. Il ministro sig. Matteo Salvini è andato nelle settimane scorse a incontrare i contadini sardi che manifestavano per il prezzo bassissimo che veniva pagato per il loro latte che finisce interamente nella produzione del non certo economico pecorino romano. Solite parole di circostanza e solito piglio barricadero da capopopolo più di lotta che di governo. Noi ci siamo un po’ documentati e siamo venuti a conoscenza della sciagurata “politica del formaggio” svolta dai proprietari nella seconda metà dell’800 che ha ridotto la Sardegna quasi a una monocultura distruggendone le altre potenzialità agricole. In un quadro di questo genere il banditismo e più in generale il separatismo rappresentava un tentativo di reazione, un prolungamento della vita e delle difficoltà di tutti i giorni. Come un adattamento violento alla violenza e all’opportunismo dei proprietari e delle istituzioni: quando il mondo esterno arriva solo con la bandiera dello sfruttamento, la realtà che trova spesso gli si rivolta contro. In Italia è successo e ancora succede. Quelle immagini che abbiamo visto tutti del latte versato in strada resteranno un momento irrisolto dell’unità nazionale, una parte di un lavoro più generale che non è mai stato seriamente cominciato. Capito sig. ministro Matteo Salvini? Non basta indossare una felpa!

p. s.
Il titolo lo abbiamo rubato a un bel film dei fratelli Taviani del 1974 che consigliamo vivamente ai nostri storici domenicali. I ringraziamenti a: B. Croce, Storia d’Italia dal 1870 al 1915; M. Bragaglia, Sardegna perché banditi; G. Procacci, Storia degli italiani; R. Villari, Il sud nella storia d’Italia; B. Caizzi, Antologia della questione meridionale.
Abbiamo messo per intero testi e autori. Hai visto mai …



13 aprile 2019

La Lega a Nerviano in tema di sicurezza è vittima della sua demagogia


A Nerviano nel giro di poco tempo sono state bruciate diverse macchine in quartieri differenti del paese.
Alcuni mesi fa in pieno centro si è verificato un caso di accoltellamento e nel frattempo i furti, tentati o commessi, non sono affatto diminuiti come promesso dall’attuale amministrazione.
Tutto questo succede in una cittadina amministrata dalla Lega che ha sempre strumentalizzato a suo favore i reati che venivano commessi negli anni passati per fomentare la rabbia e speculare elettoralmente sulla necessità di ottenere una maggiore sicurezza per i propri cittadini.
Non osiamo immaginare quale sarebbe stata la reazione del Sindaco se questi episodi si fossero verificati negli anni nei quali la Lega era all’opposizione.
A differenza di quanto avveniva in passato noi siamo consapevoli che questi avvenimenti non possono essere oggetto di propaganda politica e non sono imputabili alle singole amministrazioni, ma devono necessariamente essere governati da chi è preposto a garantire la sicurezza e l’incolumità dei cittadini. I Sindaci non sono Sceriffi e non possono sostituirsi alle forze dell’ordine.
Se pensiamo a quanto accadde a Nerviano e alle polemiche pretestuose della Lega negli anni passati
possiamo senz’altro affermare che l’attuale amministrazione è vittima della sua stessa demagogia.
Con la passata amministrazione sono state adottate delle decisioni che hanno dato dei vantaggi in termini di sicurezza per la comunità di Nerviano, come per esempio la realizzazione e l’insediamento della Caserma dei Carabinieri e il Controllo del vicinato reso operativo grazie alla collaborazione degli stessi cittadini.
L’attuale Giunta con il Sindaco in testa ebbe il temerario coraggio di contestare la realizzazione della
Caserma ed ebbe una tiepida reazione per il controllo del vicinato.
A Nerviano oggi bruciano le auto, si accoltellano per strada, rubano nelle case e nei cimiteri, a
dimostrazione che l’attuale amministrazione oggi come in passato, in tema di sicurezza fa solo propaganda e demagogia.
E non serve a molto.

10 aprile 2019

Il nuovo "duce" Mussolvini

Certo è che i fondatori della Lega nord non avrebbero mai immaginato che un partito di fede secessionista si potesse ritrovare alla fine un partito nazionalista, sovranista e di estrema destra; a volte la sete di potere cambia ideologie e priorità.
Le ex camicie verdi che simboleggiavano il verde della Padania, stanno col tempo diventando nere, più scure della notte più buia, riportandoci a tristi e nefasti ricordi del passato. Da quando il nuovo "duce" Mussolvini ha di fatto preso il comando del paese, i nostalgici fascisti di casa pound e forza nuova hanno rialzato la cresta. Si sentono protetti ed autorizzati a compiere scorribande sempre più violente, con cattiveria esponenziale. I loro obbiettivi sono i soliti, profanazione di simboli religiosi ebraici, atti di inciviltà razzista contro rom, gay ed extracomunitari. Tutto come allora, un film già visto con un finale tragico per l’Italia e per noi italiani.
Purtroppo gli alleati di governo di questa Lega non hanno opposto resistenza, anzi per il loro attaccamento alle poltrone che contano si sono resi zerbino della sede di Via Bellerio. In questo periodo storico dove la paura è diventato il sentimento più presente, le nostre certezze vanno a dissolversi, lasciando spazio all’idea che qualcuno ci debba indicare la strada giusta.
Non siamo pecoroni che seguono il gregge, ma esseri umani con tanto di cuore e di un cervello che bisogna saper far funzionare, creando presupposti per un mondo migliore. Dobbiamo agire e pretendere un futuro pieno di emozioni e opportunità positive, non possiamo fermarci e piangerci addosso.
Quando si arriva ad un bivio bisogna percorrere la strada giusta, vogliamo ritornare al passato regime o rimanere a vivere in una nazione libera e democratica?

Viva l’Italia antifascista!




Assemblea del Circolo PD a Nerviano con i parlamentari Lisa Noja e Franco Mirabelli


Un incontro politico interessante e molto partecipato nell’assemblea che si è svolta domenica 7 aprile presso il Circolo del Partito Democratico a Nerviano con l’esponente alla Camera dei Deputati Lisa Noja e il Senatore Franco Mirabelli.
A moderare l’incontro il Segretario dei Dem di Nerviano Gennaro Elmo.
Un dibattito vivace su argomenti attuali come il rinnovamento del partito dopo il risultato delle primarie; la situazione politica in Italia caratterizzata dalla recessione tecnica e una crisi preoccupante di valori come la solidarietà umana; la prospettiva delle prossime elezioni Europee con l’avanzata di forze xenofobe e sovraniste.






07 aprile 2019

I don Camillo della rivoluzione | L'editoriale della domenica


Il carattere angustamente personalizzato della lotta politica in Italia, questa sovrana mediocrità istituzionalizzata e questo tono che oscilla fra la bettola e la sagrestia, un mondo equamente diviso fra Peppone e don Camillo, irriducibili nemici con la tentazione dell’abbraccio, non ci sembrano una novità. Così come non ci stupisce il letargo provinciale del dibattito storico italiano eternamente e golosamente a rimorchio di presunte novità di questo o quello tra i sempre più numerosi sedicenti storici. Solo ci costringe a cercar conforto guardando con serietà, com’è d’uso, indietro. Un documento che conserviamo con cura ci racconta che i 1000 di Garibaldi in realtà erano 1090, la lista delle persone fornita dal Ministero della Guerra fu pubblicata nel 1864, dal Giornale Militare come risultato di un'inchiesta istituita dal Comitato di Stato. Per la maggior parte i volontari erano Lombardi (434), Veneti (194), Liguri (156), Toscani (78), Siciliani palermitani (45), Stranieri (35). Pochissimi i piemontesi, poco più di una decina. Solo 26 erano siciliani di altre città dell'Isola. La composizione sociale: 500 tra artigiani e commercianti, 150 avvocati, 100 medici, 20 farmacisti, 50 ingegneri e 60 possidenti. E una sola donna. Di popolino o contadini non ce n’era. La composizione politica era una sola, quella di sinistra, mentre quella sociale, quasi la metà erano professionisti e intellettuali, l'altra metà artigiani, affaristi, commercianti e qualche operaio.
L’omologazione globale tende ad attenuare ogni percezione di appartenenza e di identità, e noi siamo d’accordo, a patto che non porti a uno straniamento sociale irrispettoso di ogni valore e di ogni regola. Il territorio è un elemento irrinunciabile sul quale si svolge la storia, si consumano le esperienze dei singoli e si realizzano impegno e solidarietà civile. E’ questo un presupposto necessario per arrivare a riconoscersi in una patria comune. Da lungo tempo ci siamo assegnati un compito che non è risultato facile e lo sforzo messo in campo in anni recenti ha realizzato un impegno autentico che vuole testimoniare sincera solidarietà nazionale. Fondamentale in un momento in cui si alimentano derive autonomistiche al nord e velleità separatistiche al sud. Evidentemente non è fin qui bastata una comune esperienza unitaria, vissuta nell’arco di questo secolo e mezzo di storia, a sanare le ferite e le zone grigie del processo unitario. Ma noi ci auguriamo che con strategie e politiche adeguate si ponga mano ad una definitiva soluzione, seguendo l’imperativo di una rivalutazione della comune identità nazionale, pur nella ricca e preziosa varietà delle caratteristiche locali. Quel tale diceva che “il suo mestiere è tenere unita l’Italia”, e noi che abbiamo avuto il privilegio di frequentarlo in gioventù, siamo con lui.
 <<Io nacqui Veneziano ai 18 ottobre del 1775, giorno dell’evangelista san Luca; e morirò per la grazia di Dio Italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo>>. È l’incipit de Le confessioni d’un italiano ed è Ippolito Nievo che parla e noi non intendiamo aggiungere altro.
I nostri 7 lettori avranno capito che stiamo parlando del Risorgimento. Meglio, non ne stiamo parlando. E non ne vogliamo parlare, noi che non siamo storici. Siamo seri! Diceva quel tale. Altri oggi nel pomeriggio si produrrà in chissà quali mirabolanti analisi, e sarà in buona compagnia. A lui e ai suoi sodali rivolgiamo la nostra solita raccomandazione. Foutez-nous la paix, chiens!

p. s.
Il tale che aveva per mestiere tenere unita l’Italia è Giorgio Napolitano. L’altro che invitava a essere seri è Totò.
Noi che non siamo storici ma qualche conoscenza la possiamo rinverdire, promettiamo di tornare settimana prossima sul tema dei movimenti separatisti. Quasi tutti del sud a quanto ci risulta e solo di recente approdati al nord.



06 aprile 2019

L'affondamento del "TITALYC"

Quando nel 1946 i padri fondatori della nostra Repubblica vararono il transatlantico Titalyc, pensarono in cuor loro di aver costruito una nave solida ed inaffondabile. Durante il suo viaggio di volta in volta veniva cambiato l’equipaggio, perché le situazioni atmosferiche e le correnti intralciavano inevitabilmente il percorso, ma la rotta verso la meta comunque non subì variazioni significative sostanziali,  
Il transatlantico imbarcava viaggiatori di tutti i ceti sociali, a prua quelli di prima classe, a poppa quelli di terza e al centro quelli di seconda. Il viaggio come si raccontava continuò senza grossi scossoni evidenti fino al 2011, quando i motori del Titalyc entrarono in avaria. Così venne chiamata una squadra di tecnici per riparare i motori ed appena la nave si rimise in moto cambiò l’equipaggio; purtroppo i motori sistemati non permisero una velocità di crociera a pieno regime.
I viaggiatori scontenti della situazione pensarono allora di cambiare la cabina di comando della nave. Fu nel 2018 che due marinai di belle speranze riuscirono a formare un equipaggio improvvisato ed ignorante nel saper condurre la nave in un porto sicuro. Gigiocchio, questo era il soprannome di uno dei due nuovi nocchieri, il suo nome vero è Luigi ma per tutte le bugie che raccontava Gigi si trasformò in Gigiocchio. Il secondo Matteo Rovini, uomo del nord con la fretta in corpo, per questo il suo nome subì l’abbreviazione in Matty.
A questo punto della storia i due ex mozzi entrarono in rotta di collisione fra loro, perché tutti e due volevano il comando della nave. Dopo tante discussioni decisero di coinvolgere un terzo marinaio da inserire come finto capitano della nave, serviva una persona gestibile da parte dei due.
Così quando Matty Rovini chiese ad un certo Peppino con chi stesse, egli rispose “con te”. La stessa domanda gliela fece anche Gigiocchio e la risposta fu la stessa “con te”, “con te” divenne allora il capitano del Titalyc. Iniziarono il viaggio promettendo un cambiamento radicale di rotta, solo che l’inesperienza e l’inadeguatezza gli indirizzò verso la parte più pericolosa dell’oceano, un posto dove galleggiavano enormi iceberg così freddi e duri che venivano chiamati realtà.
Un brutto giorno come prevedibilmente si poteva immaginare il Titalyc andò a scontrarsi con una realtà così dura che lo scafo si squarciò per tutta la lunghezza imbarcando un’infinità d’acqua. Per non fare inclinare la prua dove stava la prima classe l’equipaggio obbligò i viaggiatori di seconda classe a spostarsi a poppa verso la terza così da poter permettere ai viaggiatori di prima classe di salire sulle scialuppe di salvataggio che ben presto vennero calate in acqua mettendoli tutti in salvo, mentre a poppa la nave così appesantita in breve tempo si inabissò portando con se il resto dei passeggeri.
Ma che fine fecero i tre comandanti? Con te fu visto salire su una scialuppa vestito da gondoliere dicendo a tutti di sapersela barcamenare alla bene e meglio e si mise ai remi. Gigiocchio, travestito da ballerina di can can fu visto su una scialuppa mentre intratteneva i naufraghi cantando “spingolo francese”. Matty Rovini invece travestito da poliziotta addetta alla sicurezza si imbarcò su una lancia della marina militare e si dileguò tra la nebbia, non necessariamente padana. Si dice che quando arrivò nei pressi di un porto sicuro gli si impedì lo sbarco e lui nero in volto, mentre guardava i bagnanti sulla spiaggia, l’unica cosa che riuscì a fare in segno d’amicizia fu il saluto come si usava a Roma.







31 marzo 2019

Un grande avvenire dietro le spalle | L'editoriale della domenica


C’è una bellissima immagine di Luigi Pirandello in un romanzo, che si chiama I vecchi e i giovani, scritto nel primo decennio del Novecento, che come dice lo stesso Pirandello è << amarissimo e popoloso romanzo, ov’è racchiuso il dramma della mia generazione >>. Pirandello parla di sé e del rapporto dei giovani come lui con i vecchi, e usa una bellissima immagine: il giovane sente di essere arrivato << a vendemmia già fatta >>; oppure, come dirà nell’Enrico IV, un altro grande dramma legato a questa sua condizione identitaria, << capisce (…) che sarebbe arrivato con una fame da lupo a un banchetto già bell’e sparecchiato >>. Entrambe le immagini possono ben essere, ancora oggi, l’emblema del rapporto tra le generazioni.

E allora è venuto il momento di rompere tutto,
le nostre famiglie, gli armadi, le chiese,
i notai, i banchi di scuola, i parenti, le 128,
trasformare in coraggio la rabbia che è dentro di noi.
(...)
E allora ci siamo sentiti insicuri e stravolti
Come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi,
con le bende perdute per strada e le fasce sui volti,
già a vent’anni siam qui a raccontare ai nipoti che noi …

Non è una poesia, ma è il testo di una canzone del 1976 di Giorgio Gaber, che si intitola I reduci.
L’educazione è uno dei modi attraverso i quali gli adulti trasmettono ai giovani valori, comportamenti e rappresentazioni del mondo. Crediamo che il problema sia che questa catena intergenerazionale si sia interrotta con l’inizio di questo secolo. Nella cosiddetta Seconda Innaturale Nietzsche sostiene che ci sono tre modi di fare storia: quella monumentale (i grandi monumenti che però non comunicano nulla), quella antiquaria (le date da imparare a memoria) e quella critica, che gli adulti non hanno più voglia di fare. Abbiamo smesso di raccontare la storia e abbiamo cominciato a raccontare storie. Abbiamo creduto alla menzogna che raccontiamo ai giovani – la frase killer – che << è sempre stato così >>.
Noi adulti siamo entrati nel 21° secolo << come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi >>. Gli ebrei dicono che il passato è davanti, perché lo si conosce, mentre si cammina all’indietro verso il futuro. Ha una logica, perché il futuro non lo vediamo. Walter Benjamin, ispirato dal quadro di Klee Angelus novus, scrisse un famosissimo aforisma di filosofia della storia su questo fatto: un angelo che si allontana dal passato verso il futuro. Quest’inversione è importante: io guardo il passato che mi serve per orientarmi nel futuro, che però è dietro le spalle per cui può sempre sorprendermi.
Il Novecento era il secolo della trascendenza, del guardare oltre, in cui si diceva ai ragazzi che << forse è sempre stato così, ma non sarà sempre così >>. Questo è il senso della passione politica del Novecento. Noi adulti siamo nel passato, si configura un baratro tra noi e i ragazzi: meno male. Noi non vogliamo assomigliare ai ragazzi, e non perché non li apprezziamo e non siano persone meravigliose, ma perché siamo diversi. Cosa imparerebbero da noi se fossimo uguali a loro ?
Ma chi glielo va a dire a quel tale che veste sempre jeans e felpe, quando non mette giubbotti della polizia? Perennemente sui social a mangiare nutella e scimmiottare il “giovanilese”. E va a vedere Dumbo con una ventenne che non è sua figlia. Ma quanti anni avrà? Non sono affari nostri dirà qualcuno. Ennò! Sono affari nostri, purtroppo. Ma confessiamo che non vediamo l’ora che smettano di essere affari nostri.

p. s.
Stavolta dobbiamo farci perdonare parecchio. Abbiamo scomodato giganti della letteratura, della canzone, della filosofia e della sociologia. Ma non sempre ciò che si vuole dire può essere semplificato, accorciato e buono per tutti gli usi. A volte è indispensabile soffermarsi e capire. E allora permetteteci un’ultimo consiglio: rileggiamo Gennariello nelle Lettere luterane di Pasolini. Ancora, dirà qualcuno. Essì, se vogliamo sforzarci di capire dobbiamo leggere, e guardare avanti, al passato. Dimenticavamo: il titolo di questo editoriale lo dobbiamo a Vittorio Gassman.



24 marzo 2019

Per il 22 marzo appena passato! | L'editoriale della domenica

Riprendiamo dal Corriere della Sera del 12 marzo scorso un bell’articolo di Aldo Cazzullo sui luoghi a lui cari di Milano. Andando in giro tra via Solferino e Porta Garibaldi si ferma in via Pasubio alla Feltrinelli, più avanti c’è Eataly, poi il Vasinikò (basilico per chi non conosce le lingue), dove fanno una pizza buonissima e il bar quasi in largo La Foppa, dove il caffè è straordinario. Di fronte c’è il Radetzky, con cui l’autore ha un rapporto contradditorio. Insieme con il bar Magenta lo considera il più bel caffè di Milano; eppure dice di detestarne il nome. “ Radetzky è stato il carnefice delle Cinque Giornate, ha fatto sparare con i cannoni sui popolani milanesi in rivolta, è stato il capo di un esercito di occupazione che impiccava i patrioti; perché Milano dovrebbe rendergli omaggio intitolandogli un bar? Aveva un’amante e un maggiordomo italiani, d’accordo. I collaborazionisti si trovano sempre. Dove sono il caffè Carlo Cattaneo, il caffè Luigi Manara, il caffè Enrico Dandolo, il caffè Amatore Sciesa? Sono nomi che ai ragazzi del sabato sera con il bicchiere in mano non dicono nulla. Sciesa, prima di consegnarlo al boia, lo portarono sotto casa, dove abitavano i suoi cari, e gli promisero la libertà in cambio dei nomi dei compagni. Lui – racconta la tradizione popolare, cui mi piace credere – rispose in milanese: << Tiremm innanz >>, andiamo avanti, andiamo a morire, meglio morire che tradire “. L’abbiamo riportato per intero questo pezzo di Aldo Cazzullo che ci piace condividere con i nostri sette lettori.
Radetzky fu un grande generale boemo e non ebbe solo l’amante italiana, ma anche la moglie. Visse e morì in Italia, Paese che amava profondamente, come amava profondamente Milano. Amava il popolo milanese che al suo ritorno a Milano lo accolse festante e ai suoi funerali lo pianse. Fu esponente di un governo che fece grande Milano. Il Risorgimento è stato fatto da quattro gatti, fu una congiura massonica, il Piemonte ha conquistato il resto d’Italia e rubato i soldi al sud, abbiamo perso tutte le battaglie, eccetera. Quante volte abbiamo sentito queste parole in discorsi farciti di falsità storiche che pretendono di riscrivere la storia del nostro Risorgimento a proprio uso e consumo. Proprio qui a Nerviano abbiamo qualcuno di questi storici appassionati, organizzatori di convegni demenziali con sedicenti storici dai bizzarri titoli accademici.
Il Risorgimento fu un movimento straordinario, che vide tutte le città del nord insorgere nel 1848, Roma ergersi a Repubblica e tenere le prime elezioni democratiche, la Sicilia ribellarsi al secolare malgoverno borbonico. Un movimento che fece discutere Mazzini e D’azeglio, Balbo e Gioberti, Cattaneo e Settembrini, e ispirò Manzoni e Verdi, Tommaseo e Nievo, Giusti e Hayez, viene ridotto al complotto di un’élite. Ma non sarebbero bastati i <<sciuri>> a cacciare gli austriaci da Milano. Quando Carlo Cattaneo andò all’obitorio a vedere i cadaveri degli oltre 400 caduti delle Cinque Giornate, vide che avevano mani callose, di artigiani e di operai. Poi certo le masse contadine, con qualche eccezione, furono estranee al Risorgimento. La storia non si taglia con l’accetta, non è mai bianca o nera. Ma un popolo che disprezza se stesso non ha futuro. Il Risorgimento fu fatto innanzitutto dalla destra storica. Ma oggi la destra italiana spesso non è cavouriana ma austriacante o neoborbonica, e non è liberale o conservatrice ma reazionaria e fascista.
Mentre scriviamo ci vengono in mente le parole con cui il Sindaco di Nerviano sig. Massimo Cozzi concludeva il suo discorso del 25 aprile scorso: viva Nerviano, viva la Lombardia. Viva l’Italia non l’ha detto, gli è rimasto in gola.
Lo aspettiamo quest’anno.

p. s.
Grazie ad Aldo Cazzullo naturalmente. E a tutti gli eroici combattenti per la Libertà del Risorgimento italiano, tante donne e uomini che meritano il nostro rispetto. E agli storici locali, ancora una volta: Foutez-nous la paix, chiens!



17 marzo 2019

Un venerdì da leoni | l'editoriale della domenica

Essì. Vedere tutti quei giovani alla manifestazione di ieri per l’ambiente ci ha fatto ritornare alla mente i vecchi tempi. Quelli che non ritornano più se non nei nostri ricordi. Non siamo infatti cosi nostalgici da volerli richiamare all’oggi, e col ditino alzato predicare quanto fossero migliori, quei tempi. Neanche per sogno! Solo vogliamo riproporre qui la gioia che abbiamo provato vedendoli, quei giovani!
I ricordi di chi come noi è passato attraverso le esperienze delle manifestazioni. C’era un clima tutto da vivere, una tensione da respirare quando nelle sere precedenti si tirava tardi ad attaccare manifesti e a discutere senza fine. E, quando c’era, la luna, quella che si esibiva in esclusiva per noi, noi tutti che eravamo in giro, anche se negli ultimi anni gli unici rimasti ad “attacchinare” eravamo noi e la Lega Nord. Certo non è più come ai vecchi tempi, ma niente è più come ai vecchi tempi e noi siamo tornati ad essere dei buoni borghesi, come si sarebbero aspettati i nostri genitori. Serbiamo però ancora intatta l’esuberanza che ci animava quando occupavamo scuole o università e l’animosità dei cortei. Siamo figli di illusioni vere e concrete e proprio non ci stiamo a cacciar via tutto questo nell’oblio dei luoghi comuni e nell’esilio dei pensieri scomodi, dove ama metterli quel tale. E tutto questo lo abbiamo letto negli occhi di quei ragazzi che hanno sfilato con giovanile determinazione e gioviale intemperanza per le strade di Milano e del mondo.
L’esplosione della protesta giovanile trova conferme storiche alla legge sociologica del conflitto delle generazioni: i giovani, rifiutando il principio della delega del potere, scendono in strada per liberare se stessi prima di tutto dalle grinfie degli adulti. È questo il senso di questa protesta spontanea. Questo movimento di giovani nasce dalla consapevolezza che le profonde contraddizioni scatenate dalle trasformazioni delle società industriali avanzate siano oramai insanabili e che le loro ripercussioni investano pressoché ogni area del mondo.
Due dati infine. A Milano e Torino si muore per smog più che altrove. Sono infatti le prime due aree urbane al mondo per numero di morti premature ogni 100mila abitanti, morti che sarebbero attribuibili all’inquinamento atmosferico causato dai trasporti. Per intenderci: 930 le morti premature per inquinamento attribuibili ai trasporti – su un totale di 2400 decessi per inquinamento – mentre a Torino sono state 240 le morti per smog su un totale di 630 morti per inquinamento. L’Italia più in generale si posiziona al nono posto con 7800 morti in dodici mesi.
E noi che facciamo ? Siamo convinti che a Nerviano la mobilità possa essere garantita prescindendo dall’uso dell’automobile. Andare a piedi camminando sicuri, su marciapiedi finalmente legalizzati con misure corrette e privi di ogni impedimento per anziani e disabili e disegnando infine una vera rete di piste ciclabili non solo per il tempo libero ma che colleghi utilmente i diversi punti del paese.

p. s.
Ricordiamo Fabrizio che in quelle sere con rara perizia arrotolava ad arte i manifesti, Guglielmo che li attaccava con geometrica sapienza e Dino che ce la raccontava. Lewis Feuer per gli studi sui movimenti di protesta giovanili. Quel tale è Erri De Luca. I dati sulle morti per smog sono tratti da un articolo comparso su La Stampa del 9 marzo scorso


10 marzo 2019

Se questo è un uomo: considerazioni sull’8 marzo due giorni dopo | L'editoriale della domenica


C'era una volta una volpe che un giorno si ritrovò in un vigneto. Dai tralci di vite penzolavano dei grossi grappoli d'uva: gli acini avevano un aspetto delizioso. Così, la volpe, si sollevò sulle zampe posteriori per afferrare qualche grappolo, prese la rincorsa e cercò di raggiungere l'uva saltando più volte senza però riuscirvi. Poiché tutt'intorno a lei si stava radunando una folla di animali curiosi, la volpe, per non fare brutta figura, se ne andò col petto gonfio, esclamando ad alta voce: "Quest'uva è ancora acerba". Spesso, le persone che sminuiscono qualcosa, semplicemente non sono in grado di averlo. L'uomo tende a convincersi delle sue scelte, e aggiusta la propria percezione in base alle convinzioni maturate. È questa la dissonanza cognitiva, un meccanismo mentale umano che consiste nella razionalizzazione dell’irrazionale che viene magistralmente descritta dalla favola di Esopo. Un esperimento famoso fatto a New Haven  nel 2007 dimostrò che anche le scimmie si affezionano alle loro idee e che è istintivo ostinarsi sulle proprie posizioni anche quando si sa che sono assurde. 

Ora noi non vogliamo paragonare il nostro Ministro sig. Matteo Salvini o il nostro Sindaco sig. Massimo Cozzi alle scimmie perché siamo degli animalisti convinti. Entrambi hanno pubblicato   sui loro siti foto di “ragazze di sinistra”, esponendole alla gogna di Facebook. Confessiamo qui  il dubbio che i nostri due campioni del rigore morale ragazze come quelle delle foto da giovani le abbiano molto desiderate, ma mai frequentate: il primo era uno sfigato come ancora oggi quel tale lo definisce, e il secondo non ha goduto della benevolenza della natura.
A quasi centocinquant’anni dai primi movimenti femministi le donne ancora si ritrovano in piazza per denunciare a se stesse e agli uomini la fine di una grossa illusione, o di una grave mistificazione, quella della emancipazione femminile. Anche se oggi è più difficile mettere a nudo i termini attuali della loro oppressione, spesso ancora legata e complicata da residui arcaici e modelli di disuguaglianza chiusi all’interno della famiglia. Dalle uccisioni di donne raccontate ancora ieri l’altro dal Corriere, da parte di uomini (sic) che le “amavano”, scopriamo dunque che la famiglia è il luogo delegato dell’oppressione della donna, della perpetuazione del dominio economico e sessuale maschile. La coppia, i figli, quel nucleo che ai romantici pareva la condizione della felicità, i due cuori e una capanna, e che invece è l’oppressione ridotta all’essenziale. In questa famiglia, ancora oggi la donna è obbligata a guadagnarsi la sopravvivenza con l’approvazione dell’uomo. Può farlo con l’astuzia o con lo scambio della sua sessualità, in questo modo vedendosi negate le fonti di dignità e di rispetto di se stessa che non siano le più triviali.
Probabilmente, non già “Domani le donne”, come sperava la Sullerot!

p.s.
Oltre che con Esopo, abbiamo un debito con Leon Festinger e gli psicologi dell’Università di Yale che hanno esteso gli studi degli effetti della sua teoria alle scimmie. Il dubbio ci viene da Freud. Tutto dobbiamo a Kate Millet, Eva Figes, Robin Norwood, Renata Pisu, Dacia Maraini, Elena Ferrante, e alla a noi carissima Armanda Guiducci. E a P.







Le Primarie del Partito Democratico a Nerviano


Nicola Zingaretti è il nuovo Segretario nazionale del Partito Democratico e la sua vittoria è stata confermata anche alle primarie che si sono svolte a Nerviano.

Il risultato era nelle attese ma di fatto è stato più ampio del previsto, così come la partecipazione degli elettori è risultata maggiore di quanto si era ipotizzato alla vigilia  sia in ambito nazionale che locale.
E’ un risultato importante per il PD in quanto rappresenta la ripresa immediata di una battaglia politica e culturale in un paese egemonizzato da una destra nazionalista e aggressiva, che utilizza il linguaggio dell’odio, sempre più incattivita, che rischia di trascinare il paese ad un declino inarrestabile e isolato dall’Europa. Il Pd ha la necessita di ritrovare con il nuovo Segretario l’unità e la coesione necessaria perché il futuro possa tornare ad essere un luogo di speranza, di solidarietà e opportunità per tutti.
Con il voto alle primarie il partito ha dimostrato di essere ancora vivo e vegeto, pronto per rappresentare una valida alternativa a sovranisti e populisti.
A Nerviano, compreso le frazioni di Garbatola e Sant’Ilario, sono stati utilizzati tre seggi con il supporto ed il contributo degli iscritti e volontari del locale Circolo “F. Ghilardotti”.
Al seggio di Nerviano 1 hanno votato 253 elettori. A Nerviano 2 (Garbatola  e Sant’Ilario) il totale dei votanti è stato di 92. I voti complessivi: per Zingaretti 216 – per Martina 95 – per Giachetti 33 – scheda bianca 1.
Il voto finale rappresenta uno sforzo che è stato premiato e che responsabilizza il partito anche a livello locale.
 Il merito delle primarie rispetto a piattaforme online gestito da soggetti privati è il contatto con le persone che si recano alle urne per dimostrare la propria partecipazione e volontà ad essere rappresentate.
Sono state tante le persone che si sono lamentate anche della politica locale.
 Il comune di Nerviano è stato dipinto come il luogo dove si sprecano promesse elettorali mirabolanti e dove gli attuali amministratori parlano sempre del passato per giustificare l’attuale immobilismo e i pochi progetti gestiti in maniera dozzinale.
Tanti gli elettori che hanno palesato la necessità di costruire anche a Nerviano un’alternativa di centro sinistra contrapposta ad una politica decisamente di destra, divisiva e irrilevante.
Una reazione importante che arriva da elettori e simpatizzanti che non si identificano nell’attuale amministrazione.
Al Pd l’arduo compito di rispondere ad un dovere preciso, sia per l’Italia, sia in ambito locale.