Che
giorno è oggi?
Oggi,
un giorno d'autunno come tanti altri, è il giorno in cui, ogni anno, da un po'
di tempo a questa parte, scegliamo di ricordare le vittime della violenza, le
donne che ogni anno vengono attaccate psicologicamente, picchiate, molestate,
uccise.
"La
giornata per eliminare la violenza contro le donne".
Ogni
anno.
Il
braccialetto rosso, la fiaccolata, il volantino, l'incontro di
sensibilizzazione.
Ogni
anno.
A
quelle donne noi dobbiamo memoria, ma non solo, dobbiamo soprattutto un
cambiamento radicale.
Eppure
ci sono parole, modi di fare, di dire e di pensare che rimangono.
Quando
cammini per strada da sola non sia mai che tu abbia una maglietta troppo
scollata o una gonna troppo corta, perché allora quei fischi e quelle parole te
le sarai meritate.
Quando
una donna subisce violenze ha paura a denunciare, la maggior parte delle vitte
addirittura non riesce e non vuole parlarne, perché è traumatizzata, ma anche
perché troppo spesso il messaggio che passa è che la colpa non sia della
persona, nemmeno degna di essere definita tale, che ha commesso la violenza, ma
che la colpa sia della ragazza, la ragazza che indossava l'abito sbagliato, che
aveva bevuto un bicchiere di troppo, che non ha capito che nella relazione è
l'uomo quello che ha più diritti, che comanda, che deve essere rispettato,
oppure la ragazza che era debole, che non è riuscita a troncare una relazione
violenta e si è lasciata sottomettere.
Ogni
anno manifestiamo, diciamo che il "25 novembre è tutti i giorni", ma
poi, realmente, cosa facciamo per il cambiamento?
Quando
una donna dà della "ragazza dai facili costumi", per così dire, ad
un'altra ragazza, quando critica il suo modo di vestirsi, di atteggiarsi, è la
prima che giustifica il pensiero comune.
Quando
un ragazzo pensa "che stasera la faccio ubriacare", quando fa girare
foto e video della propria ex, tanto per ridere, quando dà per scontato di
essere superiore in quanto uomo, quando sotto a un qualsiasi post facebook
molte argomentazioni contro una donna sono sessiste, quando si augura a una
donna di essere stuprata, o alle figlie di qualcuno di essere violentate, è
allora che legittimiamo la violenza, psicologica e fisica che sia.
Quando
quotidianamente, con il nostro vocabolario, con il nostro modo di pensare e
agire creiamo un clima malato, in cui una donna non può sentirsi libera di
vivere come meglio crede il proprio essere donna e la propria sessualità,
allora siamo complici.
Siamo
complici, noi donne e uomini, di un dramma atroce.
Siamo
complici e potremo essere vittime.