31 marzo 2019

Un grande avvenire dietro le spalle | L'editoriale della domenica


C’è una bellissima immagine di Luigi Pirandello in un romanzo, che si chiama I vecchi e i giovani, scritto nel primo decennio del Novecento, che come dice lo stesso Pirandello è << amarissimo e popoloso romanzo, ov’è racchiuso il dramma della mia generazione >>. Pirandello parla di sé e del rapporto dei giovani come lui con i vecchi, e usa una bellissima immagine: il giovane sente di essere arrivato << a vendemmia già fatta >>; oppure, come dirà nell’Enrico IV, un altro grande dramma legato a questa sua condizione identitaria, << capisce (…) che sarebbe arrivato con una fame da lupo a un banchetto già bell’e sparecchiato >>. Entrambe le immagini possono ben essere, ancora oggi, l’emblema del rapporto tra le generazioni.

E allora è venuto il momento di rompere tutto,
le nostre famiglie, gli armadi, le chiese,
i notai, i banchi di scuola, i parenti, le 128,
trasformare in coraggio la rabbia che è dentro di noi.
(...)
E allora ci siamo sentiti insicuri e stravolti
Come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi,
con le bende perdute per strada e le fasce sui volti,
già a vent’anni siam qui a raccontare ai nipoti che noi …

Non è una poesia, ma è il testo di una canzone del 1976 di Giorgio Gaber, che si intitola I reduci.
L’educazione è uno dei modi attraverso i quali gli adulti trasmettono ai giovani valori, comportamenti e rappresentazioni del mondo. Crediamo che il problema sia che questa catena intergenerazionale si sia interrotta con l’inizio di questo secolo. Nella cosiddetta Seconda Innaturale Nietzsche sostiene che ci sono tre modi di fare storia: quella monumentale (i grandi monumenti che però non comunicano nulla), quella antiquaria (le date da imparare a memoria) e quella critica, che gli adulti non hanno più voglia di fare. Abbiamo smesso di raccontare la storia e abbiamo cominciato a raccontare storie. Abbiamo creduto alla menzogna che raccontiamo ai giovani – la frase killer – che << è sempre stato così >>.
Noi adulti siamo entrati nel 21° secolo << come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi >>. Gli ebrei dicono che il passato è davanti, perché lo si conosce, mentre si cammina all’indietro verso il futuro. Ha una logica, perché il futuro non lo vediamo. Walter Benjamin, ispirato dal quadro di Klee Angelus novus, scrisse un famosissimo aforisma di filosofia della storia su questo fatto: un angelo che si allontana dal passato verso il futuro. Quest’inversione è importante: io guardo il passato che mi serve per orientarmi nel futuro, che però è dietro le spalle per cui può sempre sorprendermi.
Il Novecento era il secolo della trascendenza, del guardare oltre, in cui si diceva ai ragazzi che << forse è sempre stato così, ma non sarà sempre così >>. Questo è il senso della passione politica del Novecento. Noi adulti siamo nel passato, si configura un baratro tra noi e i ragazzi: meno male. Noi non vogliamo assomigliare ai ragazzi, e non perché non li apprezziamo e non siano persone meravigliose, ma perché siamo diversi. Cosa imparerebbero da noi se fossimo uguali a loro ?
Ma chi glielo va a dire a quel tale che veste sempre jeans e felpe, quando non mette giubbotti della polizia? Perennemente sui social a mangiare nutella e scimmiottare il “giovanilese”. E va a vedere Dumbo con una ventenne che non è sua figlia. Ma quanti anni avrà? Non sono affari nostri dirà qualcuno. Ennò! Sono affari nostri, purtroppo. Ma confessiamo che non vediamo l’ora che smettano di essere affari nostri.

p. s.
Stavolta dobbiamo farci perdonare parecchio. Abbiamo scomodato giganti della letteratura, della canzone, della filosofia e della sociologia. Ma non sempre ciò che si vuole dire può essere semplificato, accorciato e buono per tutti gli usi. A volte è indispensabile soffermarsi e capire. E allora permetteteci un’ultimo consiglio: rileggiamo Gennariello nelle Lettere luterane di Pasolini. Ancora, dirà qualcuno. Essì, se vogliamo sforzarci di capire dobbiamo leggere, e guardare avanti, al passato. Dimenticavamo: il titolo di questo editoriale lo dobbiamo a Vittorio Gassman.



24 marzo 2019

Per il 22 marzo appena passato! | L'editoriale della domenica

Riprendiamo dal Corriere della Sera del 12 marzo scorso un bell’articolo di Aldo Cazzullo sui luoghi a lui cari di Milano. Andando in giro tra via Solferino e Porta Garibaldi si ferma in via Pasubio alla Feltrinelli, più avanti c’è Eataly, poi il Vasinikò (basilico per chi non conosce le lingue), dove fanno una pizza buonissima e il bar quasi in largo La Foppa, dove il caffè è straordinario. Di fronte c’è il Radetzky, con cui l’autore ha un rapporto contradditorio. Insieme con il bar Magenta lo considera il più bel caffè di Milano; eppure dice di detestarne il nome. “ Radetzky è stato il carnefice delle Cinque Giornate, ha fatto sparare con i cannoni sui popolani milanesi in rivolta, è stato il capo di un esercito di occupazione che impiccava i patrioti; perché Milano dovrebbe rendergli omaggio intitolandogli un bar? Aveva un’amante e un maggiordomo italiani, d’accordo. I collaborazionisti si trovano sempre. Dove sono il caffè Carlo Cattaneo, il caffè Luigi Manara, il caffè Enrico Dandolo, il caffè Amatore Sciesa? Sono nomi che ai ragazzi del sabato sera con il bicchiere in mano non dicono nulla. Sciesa, prima di consegnarlo al boia, lo portarono sotto casa, dove abitavano i suoi cari, e gli promisero la libertà in cambio dei nomi dei compagni. Lui – racconta la tradizione popolare, cui mi piace credere – rispose in milanese: << Tiremm innanz >>, andiamo avanti, andiamo a morire, meglio morire che tradire “. L’abbiamo riportato per intero questo pezzo di Aldo Cazzullo che ci piace condividere con i nostri sette lettori.
Radetzky fu un grande generale boemo e non ebbe solo l’amante italiana, ma anche la moglie. Visse e morì in Italia, Paese che amava profondamente, come amava profondamente Milano. Amava il popolo milanese che al suo ritorno a Milano lo accolse festante e ai suoi funerali lo pianse. Fu esponente di un governo che fece grande Milano. Il Risorgimento è stato fatto da quattro gatti, fu una congiura massonica, il Piemonte ha conquistato il resto d’Italia e rubato i soldi al sud, abbiamo perso tutte le battaglie, eccetera. Quante volte abbiamo sentito queste parole in discorsi farciti di falsità storiche che pretendono di riscrivere la storia del nostro Risorgimento a proprio uso e consumo. Proprio qui a Nerviano abbiamo qualcuno di questi storici appassionati, organizzatori di convegni demenziali con sedicenti storici dai bizzarri titoli accademici.
Il Risorgimento fu un movimento straordinario, che vide tutte le città del nord insorgere nel 1848, Roma ergersi a Repubblica e tenere le prime elezioni democratiche, la Sicilia ribellarsi al secolare malgoverno borbonico. Un movimento che fece discutere Mazzini e D’azeglio, Balbo e Gioberti, Cattaneo e Settembrini, e ispirò Manzoni e Verdi, Tommaseo e Nievo, Giusti e Hayez, viene ridotto al complotto di un’élite. Ma non sarebbero bastati i <<sciuri>> a cacciare gli austriaci da Milano. Quando Carlo Cattaneo andò all’obitorio a vedere i cadaveri degli oltre 400 caduti delle Cinque Giornate, vide che avevano mani callose, di artigiani e di operai. Poi certo le masse contadine, con qualche eccezione, furono estranee al Risorgimento. La storia non si taglia con l’accetta, non è mai bianca o nera. Ma un popolo che disprezza se stesso non ha futuro. Il Risorgimento fu fatto innanzitutto dalla destra storica. Ma oggi la destra italiana spesso non è cavouriana ma austriacante o neoborbonica, e non è liberale o conservatrice ma reazionaria e fascista.
Mentre scriviamo ci vengono in mente le parole con cui il Sindaco di Nerviano sig. Massimo Cozzi concludeva il suo discorso del 25 aprile scorso: viva Nerviano, viva la Lombardia. Viva l’Italia non l’ha detto, gli è rimasto in gola.
Lo aspettiamo quest’anno.

p. s.
Grazie ad Aldo Cazzullo naturalmente. E a tutti gli eroici combattenti per la Libertà del Risorgimento italiano, tante donne e uomini che meritano il nostro rispetto. E agli storici locali, ancora una volta: Foutez-nous la paix, chiens!



17 marzo 2019

Un venerdì da leoni | l'editoriale della domenica

Essì. Vedere tutti quei giovani alla manifestazione di ieri per l’ambiente ci ha fatto ritornare alla mente i vecchi tempi. Quelli che non ritornano più se non nei nostri ricordi. Non siamo infatti cosi nostalgici da volerli richiamare all’oggi, e col ditino alzato predicare quanto fossero migliori, quei tempi. Neanche per sogno! Solo vogliamo riproporre qui la gioia che abbiamo provato vedendoli, quei giovani!
I ricordi di chi come noi è passato attraverso le esperienze delle manifestazioni. C’era un clima tutto da vivere, una tensione da respirare quando nelle sere precedenti si tirava tardi ad attaccare manifesti e a discutere senza fine. E, quando c’era, la luna, quella che si esibiva in esclusiva per noi, noi tutti che eravamo in giro, anche se negli ultimi anni gli unici rimasti ad “attacchinare” eravamo noi e la Lega Nord. Certo non è più come ai vecchi tempi, ma niente è più come ai vecchi tempi e noi siamo tornati ad essere dei buoni borghesi, come si sarebbero aspettati i nostri genitori. Serbiamo però ancora intatta l’esuberanza che ci animava quando occupavamo scuole o università e l’animosità dei cortei. Siamo figli di illusioni vere e concrete e proprio non ci stiamo a cacciar via tutto questo nell’oblio dei luoghi comuni e nell’esilio dei pensieri scomodi, dove ama metterli quel tale. E tutto questo lo abbiamo letto negli occhi di quei ragazzi che hanno sfilato con giovanile determinazione e gioviale intemperanza per le strade di Milano e del mondo.
L’esplosione della protesta giovanile trova conferme storiche alla legge sociologica del conflitto delle generazioni: i giovani, rifiutando il principio della delega del potere, scendono in strada per liberare se stessi prima di tutto dalle grinfie degli adulti. È questo il senso di questa protesta spontanea. Questo movimento di giovani nasce dalla consapevolezza che le profonde contraddizioni scatenate dalle trasformazioni delle società industriali avanzate siano oramai insanabili e che le loro ripercussioni investano pressoché ogni area del mondo.
Due dati infine. A Milano e Torino si muore per smog più che altrove. Sono infatti le prime due aree urbane al mondo per numero di morti premature ogni 100mila abitanti, morti che sarebbero attribuibili all’inquinamento atmosferico causato dai trasporti. Per intenderci: 930 le morti premature per inquinamento attribuibili ai trasporti – su un totale di 2400 decessi per inquinamento – mentre a Torino sono state 240 le morti per smog su un totale di 630 morti per inquinamento. L’Italia più in generale si posiziona al nono posto con 7800 morti in dodici mesi.
E noi che facciamo ? Siamo convinti che a Nerviano la mobilità possa essere garantita prescindendo dall’uso dell’automobile. Andare a piedi camminando sicuri, su marciapiedi finalmente legalizzati con misure corrette e privi di ogni impedimento per anziani e disabili e disegnando infine una vera rete di piste ciclabili non solo per il tempo libero ma che colleghi utilmente i diversi punti del paese.

p. s.
Ricordiamo Fabrizio che in quelle sere con rara perizia arrotolava ad arte i manifesti, Guglielmo che li attaccava con geometrica sapienza e Dino che ce la raccontava. Lewis Feuer per gli studi sui movimenti di protesta giovanili. Quel tale è Erri De Luca. I dati sulle morti per smog sono tratti da un articolo comparso su La Stampa del 9 marzo scorso


10 marzo 2019

Se questo è un uomo: considerazioni sull’8 marzo due giorni dopo | L'editoriale della domenica


C'era una volta una volpe che un giorno si ritrovò in un vigneto. Dai tralci di vite penzolavano dei grossi grappoli d'uva: gli acini avevano un aspetto delizioso. Così, la volpe, si sollevò sulle zampe posteriori per afferrare qualche grappolo, prese la rincorsa e cercò di raggiungere l'uva saltando più volte senza però riuscirvi. Poiché tutt'intorno a lei si stava radunando una folla di animali curiosi, la volpe, per non fare brutta figura, se ne andò col petto gonfio, esclamando ad alta voce: "Quest'uva è ancora acerba". Spesso, le persone che sminuiscono qualcosa, semplicemente non sono in grado di averlo. L'uomo tende a convincersi delle sue scelte, e aggiusta la propria percezione in base alle convinzioni maturate. È questa la dissonanza cognitiva, un meccanismo mentale umano che consiste nella razionalizzazione dell’irrazionale che viene magistralmente descritta dalla favola di Esopo. Un esperimento famoso fatto a New Haven  nel 2007 dimostrò che anche le scimmie si affezionano alle loro idee e che è istintivo ostinarsi sulle proprie posizioni anche quando si sa che sono assurde. 

Ora noi non vogliamo paragonare il nostro Ministro sig. Matteo Salvini o il nostro Sindaco sig. Massimo Cozzi alle scimmie perché siamo degli animalisti convinti. Entrambi hanno pubblicato   sui loro siti foto di “ragazze di sinistra”, esponendole alla gogna di Facebook. Confessiamo qui  il dubbio che i nostri due campioni del rigore morale ragazze come quelle delle foto da giovani le abbiano molto desiderate, ma mai frequentate: il primo era uno sfigato come ancora oggi quel tale lo definisce, e il secondo non ha goduto della benevolenza della natura.
A quasi centocinquant’anni dai primi movimenti femministi le donne ancora si ritrovano in piazza per denunciare a se stesse e agli uomini la fine di una grossa illusione, o di una grave mistificazione, quella della emancipazione femminile. Anche se oggi è più difficile mettere a nudo i termini attuali della loro oppressione, spesso ancora legata e complicata da residui arcaici e modelli di disuguaglianza chiusi all’interno della famiglia. Dalle uccisioni di donne raccontate ancora ieri l’altro dal Corriere, da parte di uomini (sic) che le “amavano”, scopriamo dunque che la famiglia è il luogo delegato dell’oppressione della donna, della perpetuazione del dominio economico e sessuale maschile. La coppia, i figli, quel nucleo che ai romantici pareva la condizione della felicità, i due cuori e una capanna, e che invece è l’oppressione ridotta all’essenziale. In questa famiglia, ancora oggi la donna è obbligata a guadagnarsi la sopravvivenza con l’approvazione dell’uomo. Può farlo con l’astuzia o con lo scambio della sua sessualità, in questo modo vedendosi negate le fonti di dignità e di rispetto di se stessa che non siano le più triviali.
Probabilmente, non già “Domani le donne”, come sperava la Sullerot!

p.s.
Oltre che con Esopo, abbiamo un debito con Leon Festinger e gli psicologi dell’Università di Yale che hanno esteso gli studi degli effetti della sua teoria alle scimmie. Il dubbio ci viene da Freud. Tutto dobbiamo a Kate Millet, Eva Figes, Robin Norwood, Renata Pisu, Dacia Maraini, Elena Ferrante, e alla a noi carissima Armanda Guiducci. E a P.







Le Primarie del Partito Democratico a Nerviano


Nicola Zingaretti è il nuovo Segretario nazionale del Partito Democratico e la sua vittoria è stata confermata anche alle primarie che si sono svolte a Nerviano.

Il risultato era nelle attese ma di fatto è stato più ampio del previsto, così come la partecipazione degli elettori è risultata maggiore di quanto si era ipotizzato alla vigilia  sia in ambito nazionale che locale.
E’ un risultato importante per il PD in quanto rappresenta la ripresa immediata di una battaglia politica e culturale in un paese egemonizzato da una destra nazionalista e aggressiva, che utilizza il linguaggio dell’odio, sempre più incattivita, che rischia di trascinare il paese ad un declino inarrestabile e isolato dall’Europa. Il Pd ha la necessita di ritrovare con il nuovo Segretario l’unità e la coesione necessaria perché il futuro possa tornare ad essere un luogo di speranza, di solidarietà e opportunità per tutti.
Con il voto alle primarie il partito ha dimostrato di essere ancora vivo e vegeto, pronto per rappresentare una valida alternativa a sovranisti e populisti.
A Nerviano, compreso le frazioni di Garbatola e Sant’Ilario, sono stati utilizzati tre seggi con il supporto ed il contributo degli iscritti e volontari del locale Circolo “F. Ghilardotti”.
Al seggio di Nerviano 1 hanno votato 253 elettori. A Nerviano 2 (Garbatola  e Sant’Ilario) il totale dei votanti è stato di 92. I voti complessivi: per Zingaretti 216 – per Martina 95 – per Giachetti 33 – scheda bianca 1.
Il voto finale rappresenta uno sforzo che è stato premiato e che responsabilizza il partito anche a livello locale.
 Il merito delle primarie rispetto a piattaforme online gestito da soggetti privati è il contatto con le persone che si recano alle urne per dimostrare la propria partecipazione e volontà ad essere rappresentate.
Sono state tante le persone che si sono lamentate anche della politica locale.
 Il comune di Nerviano è stato dipinto come il luogo dove si sprecano promesse elettorali mirabolanti e dove gli attuali amministratori parlano sempre del passato per giustificare l’attuale immobilismo e i pochi progetti gestiti in maniera dozzinale.
Tanti gli elettori che hanno palesato la necessità di costruire anche a Nerviano un’alternativa di centro sinistra contrapposta ad una politica decisamente di destra, divisiva e irrilevante.
Una reazione importante che arriva da elettori e simpatizzanti che non si identificano nell’attuale amministrazione.
Al Pd l’arduo compito di rispondere ad un dovere preciso, sia per l’Italia, sia in ambito locale.





03 marzo 2019

Elogio della pazienza | L'editoriale della domenica


Nei primi anni sessanta del novecento uno scienziato americano si presentò di fronte a un’importante commissione federale per discutere la richiesta di finanziamento che aveva presentato al Governo. La commissione era presieduta da John Pastore, severo e temuto senatore repubblicano del Rhode Island. Dunque lo scienziato cominciò a esporre il proprio progetto, che riguardava una ricerca di fisica teorica, ma nel bel mezzo della spiegazione Pastore lo interruppe con questa domanda: “ Professore, il suo progetto serve a difendere la nostra patria? ” Lo scienziato rimase interdetto per qualche secondo, poi disse: “ No. Ma serve a rendere la nostra patria più degna di essere difesa ”.

La civiltà è prima di tutto una questione di pazienza. E anche la nostra si è sviluppata proprio in relazione al fatto che non ci si è mai chiesto immediatamente “ a cosa serviva” questo o quello. I suoi progressi si sono realizzati perché si è avuta la pazienza di aspettare che la libertà e la fantasia avessero il tempo di produrre i propri frutti intellettuali, senza che nessuno stesse loro alle calcagna chiedendo insistentemente “ a che cosa serviva ” ciò che si stava creando o immaginando. Ci riferiamo per esempio alla pazienza di aspettare che la democrazia e il pensiero critico, attraversando le menti come un fluido sottile, producessero persone capaci di governare situazioni sociali complicate; alla pazienza di aspettare che le argomentazioni degli accorti politici, talvolta estremamente sottili, o le regole della retorica, spesso tanto elaborate ed esigenti, dessero forma alla sostanza di leggi ben fatte; alla pazienza di aspettare che le speculazioni della scienza, anche le più spericolate, dessero avvio alla costruzione di opere mai viste prima o alla creazione di fondamentali tecnologie.
La nostra civiltà è cresciuta dunque, praticando la virtù della pazienza. Quando si discute di incontro fra culture, di differenze fra culture, di conflitto fra culture ovvero dei mutamenti culturali a cui la nostra  società va continuamente incontro, lo si può fare a patto di avere pazienza. Pazienza e non paura. La pazienza di aspettare. Noi europei occidentali sappiamo bene cosa significa essere profughi, poiché in Europa le più svariate vicende storiche e politiche hanno creato enormi quantità di profughi, che altri continenti hanno accolto. Siamo perciò d’accordo con chi ha detto che sono troppo pochi i profughi ai quali negli ultimi anni sono state aperte le porte.
Per tutto questo ieri siamo stati contenti di incontrare le migliaia di persone dei più diversi colori e delle più diverse convinzioni politiche che, di fronte alla tragedia dei profughi, si sono unite e hanno tradotto in pratica le loro – diciamo così – perplessità intellettuali. Che meraviglia ieri !
E pazienza se le cose stanno andando come stanno andando. Cambierà, “ vedrai che cambierà “ !

p. s.
La nostra gratitudine va a tutti quelli che ieri 2 marzo hanno camminato insieme a noi alla Manifestazione di Milano sul tema “ Prima le Persone “ e che hanno ispirato la riflessione di oggi.
L’aneddoto sullo scienziato americano lo dobbiamo a Beniamino Placido, e il virgolettato finale a Luigi Tenco.












02 marzo 2019

Primarie del Partito Democratico | Dove si vota a Nerviano

Circolo PD - via Rondanini, Nerviano
dalle ore 8 alle ore 20

Piazza della Chiesa - S.Ilario
gazebo dalle ore 8:30 alle ore 12:30

Sala civica di Garbatola - Scuole elementari
dalle ore 8 alle ore 20



Prima le Persone - Oggi a Milano anche il nostro Circolo per la marcia contro ogni razzismo




Quarto binario e fermata a Cantone

Si è svolto nei giorni scorsi al Palazzo Pirelli di Regione Lombardia un interessantissimo  convegno dal titolo "il futuro del Trasporto Pubblico locale" organizzato dal Gruppo Consiliare del Partito Democratico regionale, al quale abbiamo avuto l'onore di partecipare.
Sappiamo che la mobilità è il tema più importante che abbiamo di fronte per i prossimi anni e che comprende più risorse, costi standard, nuove tariffe e agevolazioni  e nuovi servizi per l’utenza.
Un sistema sempre più intermodale in cui le reti, i servizi, le merci, il mezzo pubblico e quello privato si integrano.
Per raggiungere questi obiettivi il ruolo del pubblico sarà fondamentale.
Recuperare il tempo perduto è molto complicato e per farlo occorre prendere adesso decisioni politiche importanti e impostare una nuova strategia che guardi all’Europa.
Regione Lombardia - dice ancora il Partito Democratico - deve cogliere la sfida degli investimenti nel trasporto pubblico e nell’intermodalità, attraverso una programmazione seria e concreta delle opere che puntano in questa direzione.
Da parte nostra come Partico Democratico nervianese ci impegneremo ad affrontare la questione delle infrastrutture che ci riguardano in maniera particolare e di cui non sentiamo più parlare neanche da parte dell’attuale amministrazione comunale leghista.
Stiamo parlando del 3° e 4° binario sulla tratta Rho-Gallarate per cui è prevista una fermata in località  proprio nel territorio nervianese - località Cantone - come fortemente voluto dalla precedente amministrazione di centrosinistra a guida Enrico Cozzi.
Ci impegniamo da subito, anche da questo blog, ad approfondire questo importante problema, caro e molto sentito da parte di tutta la cittadinanza in particolar modo da parte di tutti i pendolari che quotidianamente utilizzano il treno come mezzo di trasporto per recarsi sul posto di lavoro o di studio.
Tornando al convegno sopra accennato, sintetizziamo alcune proposte che il Partito Democratico ha ufficializzato:
  • Accelerare il processo di revisione della legge 6/2012 e relativi regolamenti in vista delle gare per il servizio
  • Garantire la continuità e regolarità del servizio ferroviario ai pendolari
  • Sostenere l’appello che quasi 100 Sindaci della Città Metropolitana di Milano hanno rivolto a Regione Lombardia per dare il via libera alla tariffa integrata in tempi brevi

La pena nella pena

"Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni": così parlava del carcere Fëdor Dostoevskij.
E’ questo l’assunto dal quale è partito l’incontro organizzato lunedì 25 Febbraio dai Giovani Democratici presso il Circolo del PD di Nerviano. 
Una discussione aperta e partecipata per cogliere i caratteri del sistema penitenziario che deve essere conforme ai basilari principi di umanità, rispettoso della dignità della persona, imparziale e uguale senza discriminazioni in ordine a sesso, identità di genere, orientamento sessuale, razza, nazionalità, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche e credenze religiose.
Diverse le criticità legate alle finalità del trattamento penitenziario che deve tendere ad evitare gli effetti criminogeni insiti nella pena, favorendo la risocializzazione e il reinserimento sociale del condannato. Sovraffollamento e carenze strutturali sono i principali aspetti che richiedono un urgente intervento da parte dello Stato.