31 marzo 2019

Un grande avvenire dietro le spalle | L'editoriale della domenica


C’è una bellissima immagine di Luigi Pirandello in un romanzo, che si chiama I vecchi e i giovani, scritto nel primo decennio del Novecento, che come dice lo stesso Pirandello è << amarissimo e popoloso romanzo, ov’è racchiuso il dramma della mia generazione >>. Pirandello parla di sé e del rapporto dei giovani come lui con i vecchi, e usa una bellissima immagine: il giovane sente di essere arrivato << a vendemmia già fatta >>; oppure, come dirà nell’Enrico IV, un altro grande dramma legato a questa sua condizione identitaria, << capisce (…) che sarebbe arrivato con una fame da lupo a un banchetto già bell’e sparecchiato >>. Entrambe le immagini possono ben essere, ancora oggi, l’emblema del rapporto tra le generazioni.

E allora è venuto il momento di rompere tutto,
le nostre famiglie, gli armadi, le chiese,
i notai, i banchi di scuola, i parenti, le 128,
trasformare in coraggio la rabbia che è dentro di noi.
(...)
E allora ci siamo sentiti insicuri e stravolti
Come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi,
con le bende perdute per strada e le fasce sui volti,
già a vent’anni siam qui a raccontare ai nipoti che noi …

Non è una poesia, ma è il testo di una canzone del 1976 di Giorgio Gaber, che si intitola I reduci.
L’educazione è uno dei modi attraverso i quali gli adulti trasmettono ai giovani valori, comportamenti e rappresentazioni del mondo. Crediamo che il problema sia che questa catena intergenerazionale si sia interrotta con l’inizio di questo secolo. Nella cosiddetta Seconda Innaturale Nietzsche sostiene che ci sono tre modi di fare storia: quella monumentale (i grandi monumenti che però non comunicano nulla), quella antiquaria (le date da imparare a memoria) e quella critica, che gli adulti non hanno più voglia di fare. Abbiamo smesso di raccontare la storia e abbiamo cominciato a raccontare storie. Abbiamo creduto alla menzogna che raccontiamo ai giovani – la frase killer – che << è sempre stato così >>.
Noi adulti siamo entrati nel 21° secolo << come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi >>. Gli ebrei dicono che il passato è davanti, perché lo si conosce, mentre si cammina all’indietro verso il futuro. Ha una logica, perché il futuro non lo vediamo. Walter Benjamin, ispirato dal quadro di Klee Angelus novus, scrisse un famosissimo aforisma di filosofia della storia su questo fatto: un angelo che si allontana dal passato verso il futuro. Quest’inversione è importante: io guardo il passato che mi serve per orientarmi nel futuro, che però è dietro le spalle per cui può sempre sorprendermi.
Il Novecento era il secolo della trascendenza, del guardare oltre, in cui si diceva ai ragazzi che << forse è sempre stato così, ma non sarà sempre così >>. Questo è il senso della passione politica del Novecento. Noi adulti siamo nel passato, si configura un baratro tra noi e i ragazzi: meno male. Noi non vogliamo assomigliare ai ragazzi, e non perché non li apprezziamo e non siano persone meravigliose, ma perché siamo diversi. Cosa imparerebbero da noi se fossimo uguali a loro ?
Ma chi glielo va a dire a quel tale che veste sempre jeans e felpe, quando non mette giubbotti della polizia? Perennemente sui social a mangiare nutella e scimmiottare il “giovanilese”. E va a vedere Dumbo con una ventenne che non è sua figlia. Ma quanti anni avrà? Non sono affari nostri dirà qualcuno. Ennò! Sono affari nostri, purtroppo. Ma confessiamo che non vediamo l’ora che smettano di essere affari nostri.

p. s.
Stavolta dobbiamo farci perdonare parecchio. Abbiamo scomodato giganti della letteratura, della canzone, della filosofia e della sociologia. Ma non sempre ciò che si vuole dire può essere semplificato, accorciato e buono per tutti gli usi. A volte è indispensabile soffermarsi e capire. E allora permetteteci un’ultimo consiglio: rileggiamo Gennariello nelle Lettere luterane di Pasolini. Ancora, dirà qualcuno. Essì, se vogliamo sforzarci di capire dobbiamo leggere, e guardare avanti, al passato. Dimenticavamo: il titolo di questo editoriale lo dobbiamo a Vittorio Gassman.