28 settembre 2012

Gazebo aperti a tutti. Nostro scopo è vincere

Di Ivan Scalfarotto
27 settembre 2012
Decidere chi abbia diritto di votare alle primarie è questione assai più ampia di quanto potrebbe sembrare a prima vista. Non ha a che fare solo con la competizione che designerà il candidato premier del centro-sinistra alle prossime elezioni, ma anche con la nostra idea della politica, della militanza, della funzione e della natura dei partiti politici. 


L’idea corrente è che l’elettore italiano si identifichi non come il cittadino adulto che matura una decisione in un determinato momento ma come l’appartenente a una fede, a una fazione. Più ancora del tifoso della squadra di calcio mi viene in mente il contradaiolo senese che torna a casa dallamammadurante i giorni del Palio, nella disgraziata ipotesi in cui abbia sposato una donna della contrada nemica. A lungo fratelli, cugini e nipoti hanno votato per un partito perché per quel partito votavano il papà, il nonno e il bisnonno.

Per la nostra cultura, il voto è divenuto una qualificazione antropologica prima ancora che politica: se in treno il passeggero di fronte legge Libero o il Giornalecomincio istintivamente a valutare se per caso non ci sia del posto in un altro scompartimento. Emagari anche a elaborare audaci teorie lombrosiane sull’acume medio dello sguardo dei lettori della testata avversa. Insomma, la convinzione generale è che l’elettore italiano sia fondamentalmente immobile e che l’unica mobilità pensabile sia quella dei leader politici, quelli che piroettano agili da un gruppo parlamentare all’altro, da un polo all’altro, dall’opposizione alla maggioranza (meno spesso il contrario), determinando con ciò tutto il possibile movimento che il nostro scenario politico offre all’osservatore.

Se così fosse sarebbe facile: basterebbe aprire i seggi all’elettore di cui allo stereotipo del cittadino di sinistra et voila, il gioco sarebbe fatto. Al voto, frotte di simpatizzanti sulle loro biciclette, Jovanotti nell’iPod, l’Unità sotto il braccio e un chilo di mele biologiche nel cestino. E invece non è così semplice. L’andamento dei sondaggi sul Movimento 5 Stelle dimostra che oggi ci troviamo davanti a un elettorato estremamente mobile, che in molti casi pensa di non votare, o di usare il proprio voto come uno strumento di legittima protesta.

In uno scenario così volatile i cittadini sono pronti a valutare il da farsi in modo meno placido e sequenziale di quanto succedesse un tempo. A scegliere laicamente tra una proposta e l’altra. La domanda è quindi: chi è l’elettore di centrosinistra? Come lo identifichiamo? In fondo ci muoviamo tra due estremi: uno è quello per cui il voto spetta all’iscritto, a chi ha cioè espresso un vincolo di appartenenza e di adesione certificata e, se vogliamo, aprioristica a uno dei partiti della coalizione; l’altro quello per cui la consultazione è aperta a qualsiasi cittadino che, senza altro impegno, desideri parteciparvi.

Escluso il primo estremo dalla natura stessa delle primarie e dal Dna del Partito democratico, bisogna capire quali siano i vincoli che si possono ragionevolmente imporre agli elettori. Per far questo bisogna intendersi sulle finalità che si vogliono raggiungere. Se lo scopo delle primarie è allargare quanto più possibile la nostra base di consenso in questo particolare momento storico e vincere, come io credo, bisogna allora favorire la più ampia partecipazione.

Aprire il più possibile le primarie per essere il più forti possibile alle elezioni, usando la consultazione interna per favorire la vittoria del leader più adatto a intercettare il consenso degli italiani. Di tutti gli italiani, senza distinzione di contrada.

Da l'Unità 27 settembre 2012