23 ottobre 2012



In campagna elettorale Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani è candidato alle primarie del 25 novembre
Il segretario: “Sono in ottima posizione”. I sondaggi
lo danno avanti di 5 punti
CARLO BERTINI
ROMA
Niente confronto a due in tv Bersani-Renzi, perché il segretario (ragione ufficiale) non vuole trasformare queste primarie di coalizione in primarie del Pd. Ma basta fare due più due e il motivo vero del niet può esser individuato nella percezione che ha Bersani di un trend a lui più favorevole; nella convinzione, condivisa con i suoi uomini mentre si dirige verso Brescia per l’ennesimo comizio, che negli ultimi giorni «il clima è cambiato» anche grazie «agli errori di Matteo». E poiché l’Italia non è l’America, chi si sente in vantaggio non ha particolari motivi di dare all’avversario pubbliche occasioni di rimonta. «Bersani vuole un confronto con tutti i candidati alle primarie di centrosinistra, primarie di coalizione e non del Pd», fa sapere via twitter la portavoce del suo comitato Alessandra Moretti.  

Nei sondaggi lo sfidante tallona ancora il segretario, che non intende dunque salire sul ring per un match a due, almeno fino all’eventuale ballottaggio, perchè «sono in ottima posizione»: l’ultimo flash numerico diffuso ieri da Ipr Marketing al Tg3, vede Bersani crescere di due punti al 41%, Renzi salire di un punto al 36% e Vendola staccato dietro al 17%. Ma va tenuto anche in conto che l’avversario è sempre temibile se un altro istituto, l’Emg, alla domanda per il Tg di Mentana su chi gli italiani vedrebbero meglio come premier, fotografa un Renzi che si piazza subito dopo Monti col 12% e di un punto sopra il segretario Pd. 

Ma quel che più galvanizza Bersani è che il partito cresce e raggiunge la soglia psicologica del 30%, a detta di Antonio Noto di Ipr il «massimo storico dal 2008». Non sorprende se alla luce di questo trend confortante, il segretario dica che quel che sta succedendo con queste primarie, «per il Pd è tutta salute». E che i ragionamenti che svolge in privato siano quelli di chi sente di non aver sbagliato una mossa, a differenza del suo avversario. Il quale con tutta evidenza soffre da «ansia di legittimazione», perché questo svela la scivolata su banchieri e finanzieri. Nervo in realtà sempre scoperto a sinistra, dove pochi possono vantare patenti di verginità; ma anche se le polemiche sui social network non risparmiano nessuno, la tesi in auge nell’entourage bersaniano è che con quegli ambienti lì «ci puoi parlare ma poi deve essere chiaro che tu fai un altro mestiere», insomma che non ti fai influenzare.  

E dunque, se Renzi soffre questo bisogno di farsi legittimare che gli fa commettere «errori che lo portano a distaccarsi dal sentimento di appartenenza al centrosinistra, perché non puoi convincere i delusi di centrodestra con argomenti di centrodestra», Bersani resta ben ancorato al filone del socialismo europeo. E segue questa strada stando attento a non scoprire troppo il fianco con i «montiani» del Pd che pure lo sostengono. Solo per dare l’idea del clima, un giovane lettiano membro della segreteria, come Marco Meloni, è convinto che «Bersani mostra di avere un passo più solido e che il tentativo di Renzi di descrivere tutto il partito come una cosa altra da sè trasmette un’idea di debolezza». Insomma, Bersani è più tranquillo, soprattutto ora che il partito si è messo in moto e le varie correnti si son messe finalmente all’opera sul terreno. E dunque, questa settimana per coronare quell’immagine di leader riconosciuto e apprezzato anche in Europa, raffica di faccia a faccia, con i socialisti d’oltralpe più influenti. Oggi con il tedesco Sigamer Gabriel dell’Spd, giovedì a Parigi da Hollande per un bilaterale in forma privata; in mezzo un colloquio con Monti a palazzo Chigi per fare il tagliando alla legge di stabilità prima che arrivi in aula. 

E al netto di tutto ciò, che il clima di entusiasmo intorno a Renzi subisca una battuta d’arresto lo confermano pure i suoi sostenitori in Parlamento. Che danno la colpa a queste regole delle primarie «costruite apposta per tenere sotto controllo l’elettorato al secondo turno, per non far votare i giovani... Regole insomma, che per forza di cose mettono piombo nelle ali alla campagna di Matteo...».