1°
maggio 2020
Dopo
il 25 Aprile avremo dunque anche il 1° Maggio senza i cortei per le strade e con
le piazze vuote. La Festa del lavoro cade in un momento in cui il lavoro è reso
quanto mai incerto da una pandemia che ancora stentiamo a credere sia stata
resa possibile dall’uomo: malattie antropogene le chiamano gli esperti. È ancora
attuale la lezione di quel tale che parla di una realtà dove il ritmo logorante
del lavoro diviene il ritmo della vita stessa. L’uomo a una dimensione lo
chiama, che produce beni materiali e oggetti di consumo in crescenti quantità e
al tempo stesso le condizioni della propria infelicità.
In
tutto il mondo è viva la minaccia della perdita del lavoro da parte di milioni
di persone. A noi piace pensare che i tentativi in atto in questi giorni di
riaprire fabbriche, negozi, ristoranti, alberghi e i tanti altri luoghi di
lavoro siano resi possibili dal rispetto della vita umana, prima ancora che
delle leggi. Niente potrà essere come prima, anche nel mondo del lavoro. Eppure
quello che si sente sa di vecchio e di superato. Ma qui non vale più il
concetto di “monetizzazione del rischio”, come ancora ieri si pensava di poter
far passare all’ILVA di Taranto. No. Meglio affermare il diritto alla
conoscenza e alla modifica delle condizioni ambientali morbigene; la volontà di
rifiutare l’immutabilità della tecnologia e dell’organizzazione produttiva
attuale; la scelta di garantire lo sviluppo economico e la contemporanea tutela
della sicurezza nel lavoro; l’obiettivo di ottimizzare i processi produttivi
anziché massimizzare la fatica umana; il desiderio di costruire una società che
privilegi la salute rispetto ad ogni altro valore.
È
tempo di rimuovere i fattori morbigeni sia del lavoro che della società nel suo
complesso e mutare in questo modo le basi stesse della organizzazione sociale.
È il momento di sottrarre l’uomo al capriccio e allo sfruttamento di altri
uomini, e di combattere le malattie causate dall’incongruità (leggi follia) dei
rapporti sociali. Lottare oggi per la tutela sanitaria significa influire
giorno per giorno sulla modifica delle condizioni ambientali e dei rapporti di
potere, sia nei luoghi di lavoro che nella società. Significa garantire che
questo processo si svolga col pieno soddisfacimento delle esigenze di salute e
di libertà per tutti gli uomini.
Nella
situazione problematica oltre che drammatica in cui ci troviamo, noi vogliamo
ancora credere che sia possibile realizzare tutto questo all’interno di un
progetto impegnativo e difficile che porti a una nuova idea di Europa, dove
fare convivere, nella dimensione spirituale prima che politica, ventisette nazioni!
Altrimenti avremo realizzato uno dei grandi fallimenti della storia, regalando
la ragione agli euroscettici e agli agnostici.
L’ideale che in un 1° Maggio non
lontano gli uomini si riconoscano tutti liberi e fratelli, le fabbriche cessino
di forgiare strumenti di morte, ci sia per tutti lavoro e riposo, la produzione
non subisca carestie né congestioni, l’arte e la scienza, veri fini
dell’umanità attingano a nuove conquiste. Utopie? Ci si arriverà, siatene
certi. Dipenderà da noi l’arrivarci in dieci anni o in dieci secoli. Solo
allora potremo dire che il sacrificio dei tanti caduti nella lotta non e stato
sterile.
p.
s. Quel tale è Herbert Marcuse, che nel 1964 pubblica “L’uomo a una dimensione”.
Il finale in corsivo è di Italo Calvino e chiude l’articolo comparso su “La
voce della democrazia”, martedì 1° maggio.