Ancora sugli
imbecilli. Che questa settimana si sono dati un gran da fare. Imbecilli vicini
e lontani, che ci capita di incontrare qui da noi o di cui leggiamo le gesta
sui giornali. Quasi a voler giustificare il nostro interesse, alimentandolo. E
allora rieccoci, pronti per una nuova puntata.
Gli imbecilli
sono, inossidabili, inespugnabili, murati una volta per tutte nella cittadella
della loro fede. Argomenti o sarcasmo, niente li smuove. Ma non è a loro, pecore
belanti e cupi fanatici, che questa volta noi ci rivolgiamo, ma a voi, cari
miscredenti, cosi denigrati, così disprezzati in questo merdoso inizio secolo
dove il grugno dell’imbecillità trionfante invade tutto e la bandiera
universale dell’idiozia, quale che sia il suo colore, rinasce in forze in tutto
il mondo. A voi che vivete immersi
nell’oceano delle fesserie montanti, per farvi sapere che non siete soli, che
non siamo soli. Non siamo molti, è vero, o almeno non siamo abbastanza, e siamo
dispersi, ma consapevoli e decisi, non a ululare coi lupi né a belare con le
pecore. A Voi che credete che cambiare è ancora possibile, che è nelle corde
delle vostre ragioni, e non altrove, cari miscredenti, non siate così discreti,
così timidi, così rassegnati. Non state là, braccia penzoloni, storditi a
contemplare la schifosa resurrezione di mostri che credevamo avere per sempre
gettato nelle fogne. Essì, sono tornati. Alcuni travestiti da manichini della
UPIM. Altri con felpe intercambiabili. Altri ancora in orbace, sì, l’orbace
classico fascista, ultimo miracolo del revisionismo, tornati fieri ad affermare
la legge dei loro padri. La loro trionfale arroganza e il loro sporco
conformismo avrebbero bisogno di un buon colpo con qualcosa di duro sui loro
musi. Un libro basterebbe. Voi a cosa avevate pensato?
Incontriamoci
dunque. Riconosciamoci tra noi. Utilizziamo tutte le occasioni per condannare
le bestialità che gli imbecilli vanno diffondendo a piene mani. Senza grandi
sforzi ci trovate. Siamo facilmente riconoscibili. Non indossiamo felpe strane
o giubbotti della polizia. Non giriamo azzimati e inamidati né con barbe e
giacche da guerriglieri sudamericani. Portiamo in giro con fierezza la nostra
sobrietà.
Ma soprattutto
indigniamoci. Cerchiamo tutti un motivo per indignarci. È fondamentale. Il
motore della Resistenza fu l’indignazione. L’indifferenza è il peggiore di
tutti gli atteggiamenti. Smettiamo di dire Io che ci posso fare, mi arrangio.
Comportandoci in questo modo, perdiamo una delle componenti essenziali dell’umano.
Una delle sue qualità indispensabili: la capacità di indignarsi e l’impegno che
ne consegue.
E allora tutti in piedi a cantare: Allons enfants
de la Patrie // Le jour de gloire est arrivé!
Siamo
felicemente vicini alla Francia, che è ancora la patria di Voltaire e Diderot.
E vorremmo poterla raggiungere sempre più velocemente, la Francia.
p. s.
I nostri debiti
oggi li dobbiamo a molti. Cominciamo da Rouget de Lisle, l’autore della
Marsigliese. Stephane Hessel, del quale accogliamo l’invito a indignarci. Pierre
Bourdieu, al quale siamo grati per i consigli su come riconoscere i contesti
all’interno dei quali si costruiscono verità e fandonie. Essì, tutti francesi!