03 marzo 2019

Elogio della pazienza | L'editoriale della domenica


Nei primi anni sessanta del novecento uno scienziato americano si presentò di fronte a un’importante commissione federale per discutere la richiesta di finanziamento che aveva presentato al Governo. La commissione era presieduta da John Pastore, severo e temuto senatore repubblicano del Rhode Island. Dunque lo scienziato cominciò a esporre il proprio progetto, che riguardava una ricerca di fisica teorica, ma nel bel mezzo della spiegazione Pastore lo interruppe con questa domanda: “ Professore, il suo progetto serve a difendere la nostra patria? ” Lo scienziato rimase interdetto per qualche secondo, poi disse: “ No. Ma serve a rendere la nostra patria più degna di essere difesa ”.

La civiltà è prima di tutto una questione di pazienza. E anche la nostra si è sviluppata proprio in relazione al fatto che non ci si è mai chiesto immediatamente “ a cosa serviva” questo o quello. I suoi progressi si sono realizzati perché si è avuta la pazienza di aspettare che la libertà e la fantasia avessero il tempo di produrre i propri frutti intellettuali, senza che nessuno stesse loro alle calcagna chiedendo insistentemente “ a che cosa serviva ” ciò che si stava creando o immaginando. Ci riferiamo per esempio alla pazienza di aspettare che la democrazia e il pensiero critico, attraversando le menti come un fluido sottile, producessero persone capaci di governare situazioni sociali complicate; alla pazienza di aspettare che le argomentazioni degli accorti politici, talvolta estremamente sottili, o le regole della retorica, spesso tanto elaborate ed esigenti, dessero forma alla sostanza di leggi ben fatte; alla pazienza di aspettare che le speculazioni della scienza, anche le più spericolate, dessero avvio alla costruzione di opere mai viste prima o alla creazione di fondamentali tecnologie.
La nostra civiltà è cresciuta dunque, praticando la virtù della pazienza. Quando si discute di incontro fra culture, di differenze fra culture, di conflitto fra culture ovvero dei mutamenti culturali a cui la nostra  società va continuamente incontro, lo si può fare a patto di avere pazienza. Pazienza e non paura. La pazienza di aspettare. Noi europei occidentali sappiamo bene cosa significa essere profughi, poiché in Europa le più svariate vicende storiche e politiche hanno creato enormi quantità di profughi, che altri continenti hanno accolto. Siamo perciò d’accordo con chi ha detto che sono troppo pochi i profughi ai quali negli ultimi anni sono state aperte le porte.
Per tutto questo ieri siamo stati contenti di incontrare le migliaia di persone dei più diversi colori e delle più diverse convinzioni politiche che, di fronte alla tragedia dei profughi, si sono unite e hanno tradotto in pratica le loro – diciamo così – perplessità intellettuali. Che meraviglia ieri !
E pazienza se le cose stanno andando come stanno andando. Cambierà, “ vedrai che cambierà “ !

p. s.
La nostra gratitudine va a tutti quelli che ieri 2 marzo hanno camminato insieme a noi alla Manifestazione di Milano sul tema “ Prima le Persone “ e che hanno ispirato la riflessione di oggi.
L’aneddoto sullo scienziato americano lo dobbiamo a Beniamino Placido, e il virgolettato finale a Luigi Tenco.