27 ottobre 2019

Diritti e Fine vita: la necessità di arrivare fino in fondo | L'editoriale della domenica


Il 25 settembre 2019 c’è stato il tanto atteso pronunciamento della corte costituzionale sul caso di Marco Cappato, politico e esponente dell’associazione Luca Coscioni che aveva accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani, meglio conosciuto come Dj Fabo, per usufruire del suicidio assistito.
A scanso di equivoci è bene precisare che la sentenza riguarda appunto il suicidio assistito e non l’eutanasia. Nel primo caso infatti è la persona interessata ad assumere autonomamente il farmaco letale. Nell’eutanasia invece entra in gioco il medico che somministra il farmaco (eutanasia attiva) o interviene interrompendo le terapie o spegnendo i macchinari che tengono in vita la persona (eutanasia passiva).
Entrando nel merito la sentenza stabilisce che non è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.”
La svolta sta nel fatto che, in determinate condizioni, l’assistenza al suicidio non è punibile e non è nemmeno equiparabile all’istigazione al suicidio. Al contrario di quanto riportato nel sopracitato articolo 580 che invece equipara le due situazioni.
In parole povere non sarà considerato reato in Italia aiutare a morire una persona capace di decidere consapevolmente, nella misura in cui quella persona abbia una malattia irreversibile che causi sofferenze fisiche e psicologiche o sia tenuta in vita da trattamenti medici di sostegno.
Tutto ciò ha innescato, com’era prevedibile, reazioni opposte sia da parte del mondo cattolico sia di quello politico. Verrebbe da dire il solito derby tra Stato etico e Stato Laico. Da una parte le fazioni politiche più conservatrici che, insieme alla CEI, esprimono sconcerto e prendono le distanze da questo comunicato. Dall’altra chi apprende con soddisfazione questa presa di posizione come la compagna di dj Fabo Valeria Imbrogno insieme ad alcuni esponenti del Partito democratico e del Movimento 5 stelle.
Non è normale e non è giusto che ancora oggi l’Italia sul questi temi sia un paese tanto diviso. La corte costituzionale ancora una volta purtroppo è arrivata prima della politica, la quale su tematiche delicate come queste non si è presa la responsabilità di decidere e di legiferare. Non si tratta di destra contro sinistra, di cattolici contro atei bensì si tratta solo di avere buonsenso. Uno stato Laico come il nostro deve farsi garante della possibilità di scelta di ognuno. Non è pensabile che si possa imporre la visione di una religione a tutti indistintamente, agendo di conseguenza. Ognuno deve poter aver il diritto di scegliere se continuare a vivere o decidere di farla finita se sussistono determinate condizioni. Sono due scelte con la stessa dignità che sono dettate dalla formazione, dal credo e dal carattere di ogni singola persona.
Stabilire che bisogna sempre tenere in vita i pazienti in gravi situazioni, spesso irreversibili, è una visione da stato Etico e non da stato Laico.
Il tema della laicità dello Stato non si ferma solo alla questione del suicidio assistito o dell’eutanasia ma tocca anche altre questioni come la legalizzazione della prostituzione o della cannabis.
Nella legislatura scorsa, è bene dirlo, sul tema dei diritti sono stati fatti passi in avanti con l’approvazione della legge sulle unioni civili e sul testamento biologico la quale stabilisce che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata.
È sufficiente tutto ciò? La risposta ovviamente è no. A tal proposito la Corte, nella sentenza sul caso Cappato, parla di un “indispensabile intervento del legislatore”, anche perché riguarda un singolo caso e fino ad una approvazione di una legge saranno i giudici a dover decidere singolarmente volta per volta.