02 giugno 2019

L'eredità? | L'editoriale della domenica


Nel 2009 Beppe Severgnini si era inventata una teoria che diffuse attraverso le pagine del Corriere della Sera. “Quanti quotidiani si vendono ogni giorno in Italia? Più o meno cinque milioni. Quanti italiani entrano regolarmente in una libreria? Più o meno cinque milioni. Quanti sono gli abbonati a Sky? Più o meno cinque milioni. Quanti sono i visitatori dei siti di informazione? Più o meno cinque milioni. Quanti guardano i programmi di approfondimento in televisione? Più o meno cinque milioni. Il sospetto è che siano sempre gli stessi. Cinque milioni. Chiamiamolo Five Milion Club, visto che molti iscritti dicono di sapere l’inglese”.
Ecco. Questo leggevamo in un articolo del Corriere del 2009. Cos’è cambiato in questi dieci anni? Lasciamo volentieri ai nostri undici lettori la risposta. Quanto a noi possiamo aggiungere con una punta di malizia che gli elettori italiani sono molti di più: 46 milioni. Togliamo i 5 milioni di cui sopra e ne restano 41. Chi sono ci domandiamo incuriositi? Le analisi dei risultati elettorali di questi giorni ce ne hanno raccontato il profilo, aiutandoci a farcene un’idea. Ebbene noi almeno tre di questi elettori li conosciamo. Riandiamo con la memoria a una scena della trasmissione televisiva L’Eredità di qualche anno fa. Conduceva Carlo Conti. I concorrenti erano belli e preparati. La domanda semplice: in che anno divenne cancelliere Adolf Hitler? Le possibilità erano quattro: 1933, 1948, 1964, 1974. La prima concorrente rispose: 1948. Il secondo: 1964. La terza era sicura: 1974. La quarta aveva la risposta obbligata ma quasi si scusò per l’assurdità: 1933. Come il sintomo di una sindrome. Sindrome 1933 è il libro di Siegmund Ginzberg appena uscito da Feltrinelli, dove l’autore traccia una analogia tra la situazione odierna e quella degli anni Trenta. Ginzberg ci esorta a riflettere senza gridare “al lupo”. Non siamo nel 1933, siamo solo in un tempo che imita inconsapevolmente il passato. 46 milioni dunque, meno i tre che conosciamo, chi sono gli altri? Ancora una volta ci viene in aiuto quel tale per spiegarci che la narcosi del benessere economico ha ipnotizzato così bene il popolo da convincerla che il suo è il migliore dei mondi possibili e farle considerare assurda una qualsiasi reazione. Nella sua ipnosi il popolo non scorge l’abbassamento, l’involgarimento e la spersonalizzazione del nuovo livello medio. Al contrario, si sente tanto sicuro e potente perché certificato dal possesso di quelle cose che sembrano contare: in realtà è solo indebitato fino al collo per pagare le varie (e comode) rate con cui si è procurato le cose che sembrano contare.  La civiltà del debito la chiama quel tale. E ci fermiamo sulla soglia di un’analisi sociologica che non intendiamo fare. Per carità: la società dei consumi, la Scuola di Francoforte, Marcuse e Pasolini: roba vecchia, da intellettuali radical-chic, come usa dire oggi. Roba da “rosiconi” di sinistra, nell’era della decrescita felice. Perciò ci affidiamo alla nuova stella nel firmamento politico, ha il volto rotondo, la felpa sempre a tono, gli slogan secchi, le dirette facebook. Uno di noi, insomma, il populista perfetto, il profeta itinerante del nuovo corso identitario.

p.s.
Beppe Severgnini scrive ancora sul Corriere della Sera. La “civiltà del debito” è una espressione di Z. Bauman. S. Ginzberg, è giornalista e scrittore, nato a Istanbul e arrivato in Italia da bambino coi genitori negli anni cinquanta.
Speriamo si sia notato l’uso per ben due volte della parole “popolo”.