Il
carattere angustamente personalizzato della lotta politica in Italia, questa
sovrana mediocrità istituzionalizzata e questo tono che oscilla fra la bettola
e la sagrestia, un mondo equamente diviso fra Peppone e don Camillo, irriducibili
nemici con la tentazione dell’abbraccio, non ci sembrano una novità. Così come
non ci stupisce il letargo provinciale del dibattito storico italiano
eternamente e golosamente a rimorchio di presunte novità di questo o quello tra
i sempre più numerosi sedicenti storici. Solo ci costringe a cercar conforto
guardando con serietà, com’è d’uso, indietro. Un documento che conserviamo con
cura ci racconta che i 1000 di Garibaldi in realtà erano 1090, la lista delle
persone fornita dal Ministero della Guerra fu pubblicata nel 1864, dal Giornale
Militare come risultato di un'inchiesta istituita dal Comitato di Stato. Per la
maggior parte i volontari erano Lombardi (434), Veneti (194), Liguri (156),
Toscani (78), Siciliani palermitani (45), Stranieri (35). Pochissimi i
piemontesi, poco più di una decina. Solo 26 erano siciliani di altre città
dell'Isola. La composizione sociale: 500 tra artigiani e commercianti, 150
avvocati, 100 medici, 20 farmacisti, 50 ingegneri e 60 possidenti. E una sola
donna. Di popolino o contadini non ce n’era. La composizione politica era una
sola, quella di sinistra, mentre quella sociale, quasi la metà erano
professionisti e intellettuali, l'altra metà artigiani, affaristi, commercianti
e qualche operaio.
L’omologazione
globale tende ad attenuare ogni percezione di appartenenza e di identità, e noi
siamo d’accordo, a patto che non porti a uno straniamento sociale irrispettoso
di ogni valore e di ogni regola. Il territorio è un elemento irrinunciabile sul
quale si svolge la storia, si consumano le esperienze dei singoli e si
realizzano impegno e solidarietà civile. E’ questo un presupposto necessario
per arrivare a riconoscersi in una patria comune. Da lungo tempo ci siamo
assegnati un compito che non è risultato facile e lo sforzo messo in campo in
anni recenti ha realizzato un impegno autentico che vuole testimoniare sincera
solidarietà nazionale. Fondamentale in un momento in cui si alimentano derive
autonomistiche al nord e velleità separatistiche al sud. Evidentemente non è
fin qui bastata una comune esperienza unitaria, vissuta nell’arco di questo
secolo e mezzo di storia, a sanare le ferite e le zone grigie del processo
unitario. Ma noi ci auguriamo che con strategie e politiche adeguate si ponga
mano ad una definitiva soluzione, seguendo l’imperativo di una rivalutazione
della comune identità nazionale, pur nella ricca e preziosa varietà delle
caratteristiche locali. Quel tale diceva che “il suo mestiere è tenere unita
l’Italia”, e noi che abbiamo avuto il privilegio di frequentarlo in gioventù,
siamo con lui.
<<Io nacqui Veneziano ai 18 ottobre del
1775, giorno dell’evangelista san Luca; e morirò per la grazia di Dio Italiano
quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il
mondo>>. È l’incipit de Le confessioni d’un italiano ed è Ippolito Nievo
che parla e noi non intendiamo aggiungere altro.
I
nostri 7 lettori avranno capito che stiamo parlando del Risorgimento. Meglio,
non ne stiamo parlando. E non ne vogliamo parlare, noi che non siamo storici.
Siamo seri! Diceva quel tale. Altri oggi nel pomeriggio si produrrà in chissà
quali mirabolanti analisi, e sarà in buona compagnia. A lui e ai suoi sodali
rivolgiamo la nostra solita raccomandazione. Foutez-nous la paix, chiens!
p.
s.
Il
tale che aveva per mestiere tenere unita l’Italia è Giorgio Napolitano. L’altro
che invitava a essere seri è Totò.
Noi
che non siamo storici ma qualche conoscenza la possiamo rinverdire, promettiamo
di tornare settimana prossima sul tema dei movimenti separatisti. Quasi tutti
del sud a quanto ci risulta e solo di recente approdati al nord.