14 aprile 2019

Allosanfan! | L'editoriale della domenica


Agli storici della domenica dedichiamo oggi la nostra curiosità. Apprezziamo il loro proposito di provare a tentare una ricostruzione della storia d’Italia giornalistica nello stile e nella ricerca forsennata di scoop e reinvenzione fantastica di un passato reale. Cosa possiamo dire noi che non ci spacciamo per storici. Abbiamo letto un po’ Croce e abbiamo in casa l’intera Storia d’Italia dell’Einaudi, ma questo non ci accredita a dire alcunché. Però vogliamo provarci e ci azzardiamo a ricordare il celebre giudizio gramsciano sul mezzogiorno “grande disgregazione sociale”. E forse possiamo estendere oggi tale giudizio all’intera nazione, al carattere scarsamente omogeneo della società e al carattere scarsamente integrato delle sue singole parti. Accanto alla divisione più macroscopica, quella fra Nord e Sud, ce ne sono altre: c’è una Italia democratica e popolare e ce n’è una sovranista e popolana, c’è una Italia cattolica e ce n’è una bigotta, c’è una Italia capitalista e ce n’è una arraffona. E non c’è una classe egemone. Una società priva di classe egemone o con una classe egemone debole è caratterizzata dalla disgregazione. All’origine di questa disgregazione, sta il fatto che in Italia è sempre mancato un vero e proprio partito conservatore, è mancato, cioè, il partito di coloro che avrebbero dovuto essere i naturali depositari dell’egemonia. E l’assenza di un saldo partito conservatore ha portato, come conseguenza, l’assenza di una salda sinistra e l’incapacità, comune ai conservatori e ai gruppi della sinistra, di esprimere governi solidi e autorevoli. È successo negli altri paesi, in Francia, in Inghilterra e in Germania. Non in Italia.
Ma come, direte voi: e Forza Italia di Berlusconi? E la Lega di Salvini? Non scherziamo. “Siamo seri” come ricordava quel tale domenica scorsa. Oddio, non è che nel PD siamo messi meglio, dopo la stagione “onirica” di Renzi. Tant’è!
Del separatismo di cui avevamo promesso di parlare non v’è fin qui traccia. Proviamo a dire qualcosa. Il ministro sig. Matteo Salvini è andato nelle settimane scorse a incontrare i contadini sardi che manifestavano per il prezzo bassissimo che veniva pagato per il loro latte che finisce interamente nella produzione del non certo economico pecorino romano. Solite parole di circostanza e solito piglio barricadero da capopopolo più di lotta che di governo. Noi ci siamo un po’ documentati e siamo venuti a conoscenza della sciagurata “politica del formaggio” svolta dai proprietari nella seconda metà dell’800 che ha ridotto la Sardegna quasi a una monocultura distruggendone le altre potenzialità agricole. In un quadro di questo genere il banditismo e più in generale il separatismo rappresentava un tentativo di reazione, un prolungamento della vita e delle difficoltà di tutti i giorni. Come un adattamento violento alla violenza e all’opportunismo dei proprietari e delle istituzioni: quando il mondo esterno arriva solo con la bandiera dello sfruttamento, la realtà che trova spesso gli si rivolta contro. In Italia è successo e ancora succede. Quelle immagini che abbiamo visto tutti del latte versato in strada resteranno un momento irrisolto dell’unità nazionale, una parte di un lavoro più generale che non è mai stato seriamente cominciato. Capito sig. ministro Matteo Salvini? Non basta indossare una felpa!

p. s.
Il titolo lo abbiamo rubato a un bel film dei fratelli Taviani del 1974 che consigliamo vivamente ai nostri storici domenicali. I ringraziamenti a: B. Croce, Storia d’Italia dal 1870 al 1915; M. Bragaglia, Sardegna perché banditi; G. Procacci, Storia degli italiani; R. Villari, Il sud nella storia d’Italia; B. Caizzi, Antologia della questione meridionale.
Abbiamo messo per intero testi e autori. Hai visto mai …