Agli
storici della domenica dedichiamo oggi la nostra curiosità. Apprezziamo il loro
proposito di provare a tentare una ricostruzione della storia d’Italia
giornalistica nello stile e nella ricerca forsennata di scoop e reinvenzione fantastica
di un passato reale. Cosa possiamo dire noi che non ci spacciamo per storici.
Abbiamo letto un po’ Croce e abbiamo in casa l’intera Storia d’Italia
dell’Einaudi, ma questo non ci accredita a dire alcunché. Però vogliamo
provarci e ci azzardiamo a ricordare il celebre giudizio gramsciano sul
mezzogiorno “grande disgregazione sociale”. E forse possiamo estendere oggi
tale giudizio all’intera nazione, al carattere scarsamente omogeneo della
società e al carattere scarsamente integrato delle sue singole parti. Accanto
alla divisione più macroscopica, quella fra Nord e Sud, ce ne sono altre: c’è
una Italia democratica e popolare e ce n’è una sovranista e popolana, c’è una
Italia cattolica e ce n’è una bigotta, c’è una Italia capitalista e ce n’è una
arraffona. E non c’è una classe egemone. Una società priva di classe egemone o
con una classe egemone debole è caratterizzata dalla disgregazione. All’origine
di questa disgregazione, sta il fatto che in Italia è sempre mancato un vero e
proprio partito conservatore, è mancato, cioè, il partito di coloro che
avrebbero dovuto essere i naturali depositari dell’egemonia. E l’assenza di un
saldo partito conservatore ha portato, come conseguenza, l’assenza di una salda
sinistra e l’incapacità, comune ai conservatori e ai gruppi della sinistra, di
esprimere governi solidi e autorevoli. È successo negli altri paesi, in
Francia, in Inghilterra e in Germania. Non in Italia.
Ma
come, direte voi: e Forza Italia di Berlusconi? E la Lega di Salvini? Non
scherziamo. “Siamo seri” come ricordava quel tale domenica scorsa. Oddio, non è
che nel PD siamo messi meglio, dopo la stagione “onirica” di Renzi. Tant’è!
Del
separatismo di cui avevamo promesso di parlare non v’è fin qui traccia. Proviamo
a dire qualcosa. Il ministro sig. Matteo Salvini è andato nelle settimane
scorse a incontrare i contadini sardi che manifestavano per il prezzo
bassissimo che veniva pagato per il loro latte che finisce interamente nella
produzione del non certo economico pecorino romano. Solite parole di
circostanza e solito piglio barricadero da capopopolo più di lotta che di
governo. Noi ci siamo un po’ documentati e siamo venuti a conoscenza della
sciagurata “politica del formaggio” svolta dai proprietari nella seconda metà
dell’800 che ha ridotto la Sardegna quasi a una monocultura distruggendone le
altre potenzialità agricole. In un quadro di questo genere il banditismo e più
in generale il separatismo rappresentava un tentativo di reazione, un
prolungamento della vita e delle difficoltà di tutti i giorni. Come un
adattamento violento alla violenza e all’opportunismo dei proprietari e delle
istituzioni: quando il mondo esterno arriva solo con la bandiera dello
sfruttamento, la realtà che trova spesso gli si rivolta contro. In Italia è
successo e ancora succede. Quelle immagini che abbiamo visto tutti del latte
versato in strada resteranno un momento irrisolto dell’unità nazionale, una
parte di un lavoro più generale che non è mai stato seriamente cominciato.
Capito sig. ministro Matteo Salvini? Non basta indossare una felpa!
p.
s.
Il
titolo lo abbiamo rubato a un bel film dei fratelli Taviani del 1974 che
consigliamo vivamente ai nostri storici domenicali. I ringraziamenti a: B.
Croce, Storia d’Italia dal 1870 al 1915; M. Bragaglia, Sardegna perché banditi;
G. Procacci, Storia degli italiani; R. Villari, Il sud nella storia d’Italia;
B. Caizzi, Antologia della questione meridionale.
Abbiamo
messo per intero testi e autori. Hai visto mai …