13 gennaio 2019

Quel ponte da ricostruire nelle nostre teste | L'editoriale della domenica


Il muro di Berlino, che divideva non solo la città ma tutto il mondo in due blocchi, fu definitivamente abbattuto nel 1989.
Lo Stari Most in Bosnia ed Erzegovina, più noto come il ponte di Mostar e che attraversa il fiume Narenta per unire le due parti della città, è stato ricostruito nel 2004 dopo essere stato distrutto durante la guerra nella ex Jugoslavia.
Alla fine gli uomini abbattono i muri che avevano costruito e ricostruiscono i ponti che avevano distrutto.  
Perché la diversità sia una forza bisogna condividere i valori chiave.
Il bene è sempre più forte del male, è solo una questione di tempo.
Così pensano gli irriducibili ottimisti, proprio come quel tale che dice all’altro dimmi cosa posso fare per te. 
Dopo la globalizzazione di capitali, beni e immagini, ora è arrivato il tempo della globalizzazione dell'umanità. Ma i profughi non hanno un loro luogo nel mondo comune. Il loro unico posto diventa la stazione di Roma e Milano o i parchi di Belgrado o la spiaggia di Cannes. Ritrovarsi nel proprio quartiere queste persone, e non solo guardarli in tv, può rappresentare uno shock. E così oggi la globalizzazione irrompe materialmente nelle nostre strade, con tutti i suoi effetti collaterali. 
Questi migranti, non per scelta ma per atroce destino, ci ricordano quanto vulnerabili siano le nostre vite e il nostro benessere. Purtroppo è nell'istinto umano addossare la colpa alle vittime delle sventure del mondo. E così, ci riduciamo a scaricare la nostra rabbia su quelli che arrivano, per alleviare la nostra umiliante incapacità di resistere alla precarietà della nostra società. 
E nel frattempo alcuni politici o aspiranti tali, il cui unico pensiero sono i voti che prenderanno alle prossime elezioni, continuano a speculare su queste ansie collettive, nonostante sappiano benissimo che non potranno mai mantenere le loro promesse. 
Ma una cosa è certa: costruire muri al posto di ponti non porterà ad altro che a una terra desolata, di separazione reciproca, che aggraverà soltanto i problemi. 
L'umanità è in crisi e l'unica via di uscita da questa crisi catastrofica sarà una nuova solidarietà tra gli umani. Non ci sono alternative più facili e meno rischiose, e nemmeno soluzioni più drastiche a questo problema.
Noi siamo ottimisti irriducibili, diceva quel tale. Ed era in buona compagnia.

p.s.
Una lettrice attenta ci ricorda che nel p.s. di settimana scorsa abbiamo dimenticato di citare Zygmunt Bauman tra le fonti. Rimediamo oggi che abbiamo pescato a piene mani dalle risposte a una sua intervista del 2015. Dobbiamo qualcosa anche a Ulrich Beck. Infine è l’evangelista Marco, colui il quale si preoccupa di poter fare qualcosa per l’altro.













[Foto dal web]